Claude Olievenstein, celebre psichiatra francese fondatore del Centre médical Marmottan di Parigi, racconta nel suo libro “Droga” i suoi 30 anni coi tossicodipendenti. Fin dall’inizio della sua professione egli ha basato l’intervento terapeutico su una precisa scelta: deve essere il paziente a dare senza costrizioni il proprio consenso a combattere la battaglia contro la tossicodipendenza mosso da un suo desiderio di liberazione unico e irrinunciabile e non una imposizione esterna, provenga essa dalla famiglia o dallo Stato.
Infatti si può anche proporre il metodo migliore ma se non c’è ricettività, se l’interessato non si sente motivato dal di dentro, i risultati ottenuti resteranno precari.
Oggi questo principio è accettato in modo generale e nessuno pensa più che si possa imporre una psicoterapia o una cura farmacologica con sostanze tipo metadone. Infatti se una persona cade in preda ad angoscia esistenziale oppure a forme psicotiche può certamente cercare sollievo in qualche sostanza per una settimana o per quanto serve ma ovviamente i problemi di fondo restano intatti. Né il fenomeno si combatte con la repressione: la prigione come punizione presenta più rischi di quanti ne eviti e crea confusione nel tossicodipendente tra pena scontata e riscatto di se stesso.
Claude Olievenstein.
“Droga”
Raffaello Cortina Editore.
(pag. 204 lire 32.000, 16,53 euro).