7 disabili su 10 senza lavoro

Data: 01/04/08

Rivista: aprile 2008

In Italia sono più di seicentomila i disabili iscritti nelle liste di collocamento mirato, 400 mila soltanto al sud. Il loro tasso di disoccupazione sfiora il 70% contro quello ordinario del 5,6%. Tra la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) il tasso di occupazione delle persone con disabilità, fisica o sensoriale, è del 18%, mentre quello dei “normodotati” si attesta al 54%.

La fonte è il sito disabilitaincifre.it (patrocinato dal ministero della Solidarietà e dall’Istat) che presenta un quadro della situazione tutt’altro che roseo: infatti, sono oltre 2 milioni i disabili disoccupati nel nostro paese. Un bacino di lavoratori non utilizzato che ha contribuito ad aumentare in maniera spropositata la spesa pubblica per le pensioni di invalidità, stimata nel 2004 a 52,2 milioni di euro. Una doppia piaga se si considera il disagio causato a queste persone, private del bisogno di ogni essere umano di sentirsi utile e parte attiva del tessuto sociale.

Paradossale è il fatto che una delle cause principali dell’esclusione dal mondo del lavoro sia rappresentata dalla tecnologia, da sempre strumento di inclusione sociale per i disabili.

Esempio calzante di questa situazione, ma non unico, arriva dalla funzione di centralinista, riservata per legge ai ciechi nel 51% dei casi: l’utilizzo di dischi automatici (premi uno… premi 3… premi 5…) sta mettendo in crisi questa opportunità. Chiaramente lo sviluppo tecnologico non può essere stigmatizzato, ma in certe situazioni è necessario fare un passo indietro per il bene comune e le istituzioni devono essere garanti di questo processo.

Il fallimento politico si è dimostrato trasversale, ma, come spesso accade, ha colpito maggiormente le regioni del sud e del centro. Scendendo nel dettaglio dell’indagine, infatti, si scopre che più della metà delle persone disabili occupate risiede al nord e che nelle nostre zone gli iscritti alle liste di collocamento mirato hanno molta più probabilità di venire assunti. A questo bisogna aggiungere l’aggravante che i portatori di handicap sono presenti in percentuale maggiore nel meridione; in pratica: al nord sono pochi e lavorano in molti al sud, viceversa, sono tanti e non lavora quasi nessuno.

C’è, poi, un altro dato su cui occorre riflettere: circa l’83% delle persone con autonomia ridotta non sono disposte a lavorare. Il rilevamento, già negativo, diventa pessimo se si considera che esclude tutti i soggetti giudicati inabili al lavoro. Affrontare tale questione significa scendere alla reale radice del problema: nonostante le energie spese per attuare efficienti politiche d’occupazione, sussistono ancora degli elementi che disincentivano le persone disabili. Dalle barriere architettoniche, ancora presenti in molti uffici e cantieri, a quelle finanziarie, meno conosciute ma altrettanto gravi. Relativamente al secondo aspetto sono numerose le spese (per ausili, assistenza, ecc…) che un disabile deve sostenere e il reddito percepito va, giustamente, ad influire sui benefici e le agevolazioni di cui ha diritto. Nessun problema, non fosse per il fatto che queste detrazioni portano spesso ad una condizione economica per cui risulta più vantaggioso rimanere inattivi. Impossibile eliminare il sistema fiscale di tassazione, necessario per erogare i servizi e re-distribuire la ricchezza, ma occorre ridefinirne il carico per consentire l’inclusione e lo sviluppo.

Sul fronte dei commenti la delusione è stata forte per il presidente della Fish (Federazione italiana superamento handicap) Pietro Barbieri: “Noi vorremmo che i finanziamenti pubblici fossero impiegati per includere, non per escludere. I disabili devono poter stare in mezzo a tutti gli altri. Non si può pensare, per aiutarli, di aggiungere nuove tasse: i cittadini si ribellerebbero”.

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