Probabilmente siamo nel bel mezzo di un big bang della storia, un evento marcatore del tempo come lo furono, a loro volta, il Cristianesimo, le invasioni barbariche, la scoperta dell’America e, appunto la Peste Nera di settecento anni fa, quella ben descritta da Petrarca. Quell’evento, la Peste, segnò la fine del Medioevo così come il Covid19 e tutto quel che si tira dietro sta mettendo fine al mondo sociale attuale, un mondo composto di determinati rapporti personali, familiari, di salute, economici, lavorativi insomma, tutto quanto si muove attorno…
Ma… i disabili? D’accordo, il mondo sarà nuovo, diverso, tecnologie mirabolanti, cure mediche molecolari, DNA piegato ai nostri voleri, più veloci della luce, era dei quanti e del biouniverso, disabilità scomparsa per mancanza di disabili, ecc. Ma i disabili vecchia maniera, circa centocinquanta mila? Quelli in corso? Quelli che a settembre torneranno a scuola? Come se la caveranno dopo due anni di lockdown micidiale, di nessun o quasi contatto sociale nemmeno con l’insegnante loro dedicato?
Al momento tutto nella nebbia: pare però manchino gli insegnanti di sostegno! Sì, avete letto bene: quasi nessuno vuol intraprendere questa carriera.
In verità l’Università cittadina ha aperto a 75 posti di insegnante di sostegno, 40 alle medie e 35 alle superiori, ma a fine anno scolastico molti professori se ne tornano nei luoghi di provenienza lasciando qui un vuoto cui è dura rimediare.
Già nell’autunno 2020 l’allarme per il ridursi sempre più accentuato di insegnanti di supporto: inimmaginabile preparare graduatorie se la mancanza, per non dire rinuncia, a questi posti si aggraverà.
Tutto cominciò negli anni Settanta con la legge 517, una vera svolta nella gestione degli alunni problematici o disabili. Metteva in discussione le strategie di esclusione e concentrazione di alunni con deficit mentale o fisico per dare centralità al diritto dell’alunno di vivere un’esperienza scolastica di condivisione con gli altri ragazzi e non essere un mezzuccio per alleggerire la famiglia. Un passo avanti enorme previsto ben chiaramente dalla nostra Costituzione!
Ed ecco qui gran parte del problema: non ci sono insegnanti a sufficienza e spesso gli incaricati si ritirano, rinunciano perché troppo lontani da casa o perché hanno vinto altri concorsi. Un vero peccato perché è qui che il ragazzo impara a condividere le esperienze, ad affrontare le difficoltà. Al tempo stesso, anche i compagni apprendono l’esistenza di altri non fortunati come loro e a convivere con “l’eventualità che…”.
Il legislatore pur di coinvolgere qualche neolaureato a seguire studenti svantaggiati e non ridurlo a puro infermiere personale apportò alcune modifiche con la legge 104/1992: i docenti di sostegno “assumono la co-titolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse, dei consigli di classe e dei collegi dei docenti”. Il titolare, dunque, quasi un prof qualsiasi, fa lezione, interviene dicendo la sua, partecipa all’interclasse. Un’occasione più unica che rara di diventare quasi subito di ruolo nella scuola.
In concreto, però, non va così, anzi l’esclusione, ahi noi, rientra dalla finestra: troppo spesso l’insegnante di sostegno assegnato alla classe e non all’alunno disabile, viene tenuto solo in riferimento al deficit dell’alunno, quasi separandolo dai vissuti affettivi e cognitivi del gruppo di classe. L’alunno viene percepito non come risorsa ma come problema, un danno che deve essere il meno dannoso possibile: ecco la necessità dell’insegnante di sostegno, coadiuvato al più da eventuali assistenti educativi.
Qui a Trento come siamo messi? Come funziona il sistema del “sostegno”? Non è molto chiaro quale sia la situazione dei numeri ma già a febbraio di quest’anno i media definivano il sistema poco funzionale, con gli insegnanti occupati ad eseguire un lavoro didattico particolarmente impegnativo e poco gratificante.
I criteri provinciali hanno stabilito la quota di un insegnante di sostegno ogni cento alunni iscritti alla scuola. È chiaramente un numero troppo basso poiché servirebbe una figura professionale in grado di seguire ogni singolo studente. In presenza di bisogni educativi legati a una disabilità, la scuola redige un “Pei”, Piano Educativo Individualizzato, volto a definire il percorso formativo dello studente. Il dirigente scolastico chiede alla Provincia le ore necessarie alla sua copertura in base alla necessità dello studente: queste ore devono esser funzionali con i criteri di assegnazione dei docenti di sostegno e del gap da superare.
Complicato! Già per i genitori arrivare alla certificazione di una disabilità per il proprio figlio è un percorso emotivamente negativo: se poi la scuola non è in grado di garantire la continuità del docente o la qualità dell’offerta formativa, il genitore stesso è disincentivato a proseguire l’esperienza.
Grama a sua volta l’esperienza dell’insegnante: la specializzazione al sostegno dura un anno ed è effettuata nelle ore di lezione. È anche oneroso per le tasche degli interessati: costa 3000 euro più l’iscrizione, dai 100 ai 150 euro. Infine, ahi loro, non è equiparabile all’abilitazione ottenuta dai docenti di materia specifica, abilitazione che permette di ottenere un posto a tempo indeterminato. Dulcis in fundo, si fa per dire, il docente entrato in ruolo con specializzazione sul sostegno e anche con l’abilitazione, è vincolato per cinque anni esclusivamente a quell’insegnamento. Sacrosanto a tutela del disabile ma il risultato è che i docenti di sostegno sono pochi e trovarli si rivela sempre più difficile…