La prima volta che ho conosciuto Fabio è stato mesi fa, quando lavoravo in una pizzeria. Ogni giovedì lo vedevo arrivare, sempre alla stessa ora, per cena, sempre con lo stesso gruppo…di amici!? L’impressione all’inizio era quella, mi chiedevo però perché si dessero appuntamento proprio e sempre il giovedì, e per andare dove poi!? Non riuscivo a darmi risposta, a spiegare cosa li portava a mangiar pizza tutti i giovedì sera. Perché? La mia curiosità mi ha spinto a domandare, visto che l’appuntamento fisso aveva creato una sorta di complicità tra tutti noi, un’attesa e una sicurezza di vedersi. Mi rispondono timidamente un po’ tutti, spiegandomi di essere “Volontari di strada”, mi hanno parlato del loro incontrarsi, ogni giovedì sera, per portare panini e the nei giardini di Piazza Dante, a tutti quelli che vivono lì, in strada, o che si trovano di passaggio, a tutti quelli che cercano solo di scaldarsi con una bevanda calda e hanno voglia di parlare un po’.
A distanza ormai di tempo da quella prima chiacchierata, oggi Fabio, 27 anni, studente di sociologia, è qui a casa mia, davanti ad una tazza di tisana, a raccontarsi un po’.
Gli ho chiesto di dirmi un po’ di più, di quello che fa, di quello che vede, che sente e che prova nell’incontro del giovedì sera “con la strada”.
In verità mi ero preparata un po’ di domande, solo perché pensavo che attraverso Prodigio avrei potuto dar voce ad un’associazione che magari tanti non conoscono, ma insieme abbiamo deciso di non pubblicare la classica intervista, che rischia di raccontare solo il chi, come, dove, quando, perché…
Questo sarà al contrario il racconto di un’esperienza, non solo di Fabio, ma anche di chi, pochi o tanti non ha importanza, ha scelto di dare il suo tempo alla strada. È l’occasione di presentare i “Volontari di strada” come persone con il desiderio di incontrare, di mettersi in relazione, di creare un contatto, informale e libero.
Fabio mi parla subito dell’esistenza, ai suoi occhi, di due distanze: quella tra emarginati e vita normale, e quella tra emarginati e servizi sociali/istituzioni. Mi spiega che spesso un contatto non si trova, non parte né da chi deve offrirlo per dovere, né da chi ne ha realmente bisogno, perché refrattario alla richiesta di aiuto, vista come una sorta di ammissione del fallimento, o perché, nella maggior parte dei casi, clandestino. Ecco perché Fabio, nella sua vita, vede il volontariato come un agire dove manca l’istituzione: attirato dalla semplicità, dal clima informale, dalla facilità con cui si può cominciare a “uscire in strada” (senza impegno e colloquio, per scelta in totale libertà) inizia a frequentare i “Volontari di strada”.
L’incontro, il giovedì alle 19, è al Punto d’Incontro, per munirsi di thè e panini. Direzione? Piazza Dante e non solo, a incontrare per lo più clandestini, i giovani dai 16 ai 30 anni sono i più numerosi, persone che vivono situazioni di abbandono, forte emarginazione, relazioni sfaldate, complicate da diversi fattori, tra i quali possono influenzare anche alcol e droga.
Sono persone che non sempre hanno voglia di avvicinarsi a questo gruppo di amici. A volte non li riconoscono neanche come volontari, spesso li confondono con “quelli della Chiesa” (ecco come li vedono, credendoli pagati e quindi aspettandosi da loro qualcosa di più che semplici panini!). Sono persone che non hanno bisogno effettivo di mangiare (e panini e thè infatti sono solo una scusa per coinvolgerli in chiacchiere e avvicinarli un po’!), che rinfacciano loro di non servire a niente, di non cambiare la situazione.
Fabio, nonostante tutto, insieme agli altri, crede di dare comunque un messaggio: la reale possibilità di entrare in relazione, di mostrare che esistono buchi nella barriera erette dalla società nei confronti degli emarginati. Scoprendo meccanismi sociali che in realtà non piacciono neanche a lui, sente la spinta ad essere critico, a “dire la sua”, a sensibilizzare gli altri, a migliorare indirettamente le cose con segnalazioni o pressioni al Comune. Il problema del muro che separa la città da questi emarginati è, Fabio continua il racconto, la mancanza di comunicazione e il pregiudizio: l’immagine del “barbone” è falsa, infatti nessuno vive una tale condizione per scelta, nessuno ha il diritto di essere etichettato come tale (ormai è un’associazione mentale che si ha l’abitudine di fare anche solo rispetto a chi ha un look un po’ trasandato, barba e capelli incolti..) o come “clandestino” (ormai etichettato come “delinquente” e “drogato”).
Viviamo di idee falsate, anche dagli stessi media, costruite sul pregiudizio. È per questo che vi lascio con un’immagine che spero cancelli il filtro che spesso “sporca” le nostre parole e inganna i nostri occhi, quando parliamo o pensiamo a chi vive in strada.
Fabio racconta uno strano incontro:
Ho conosciuto un tunisino, consapevole di sé e molto colto. Gli piace scrivere, preferirebbe farlo di notte, quando è solo con se stesso, ma in dormitorio non riesce e di giorno ha troppo freddo. Gli piace anche leggere.
Parliamo di letteratura francese.
Non poteva prendere in prestito un libro dalla biblioteca. Era clandestino. Non aveva diritto alla tessera.
Difficile poter credere che esistano queste persone, come noi, con passioni e interessi, ma che vivono in strada, troppo lontano dall’immaginario che abbiamo, vero?!
Eppure nella vita si incontrano persone, si ascoltano storie, si memorizzano paesaggi, ci si lascia colpire dalla bellezza ma altre volte dal disagio, dalla sofferenza, dalla distanza. C’è sempre tempo per costruire legami, per accorgersi di aver sbagliato, per tornare indietro, per cambiare idea. A volte basta trovarsi per caso in una pizzeria e conoscere dei ragazzi, come me, come tanti, ma che ci credono ancora, che scelgono di “fare”.
Mi piace pensare che ci sarà qualcuno che si lascerà toccare dal racconto di Fabio, e, anche se non si sentirà di seguirlo il giovedì, cercherà di avere nuovi occhi e nuove parole, per pensare o avvicinarsi a chi vive in strada.
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