Alcol e giovani

Data: 01/04/12

Rivista: aprile 2012

L’Associazione Prodigio, ormai lo ripetiamo spesso, è da sempre vicina alle problematiche che nascono dal rapporto dei giovani con l’alcol. Soprattutto ora che il “brindare” con gli amici sembra essere diventata l’abitudine dei giovani (anche minorenni) per riempire le serate. Stiamo assistendo al sopravvento della moda del binge drinking, ovvero il bere fino allo stordimento, visto come un passatempo per coloro i quali, forse, non sanno come passare meglio le serate nella città di Trento.

A tal proposito abbiamo voluto sentire il parere di un esperto, coinvolgendo il dottor Roberto Pancheri, dirigente del Servizio di Alcologia di Trento, per avere la sua autorevole opinione. Il Servizio è rivolto a persone e famiglie con problemi alcolcorrelati e collabora con altri Servizi di Alcologia provinciali, con le Unità Operative ospedaliere e con le associazioni di volontariato nell’ambito di programmi di prevenzione e riabilitazione.

Cosa ne pensa del modo in cui si consumano bevande alcoliche al giorno d’oggi?

Innanzitutto bisogna dire che c’è poca differenza tra bere superalcolici, birra o vino, poiché in una birra piccola, in un bicchiere di vino o in un bicchierino di superalcolico troviamo (in proporzione alla quantità di liquido) la stessa quantità di alcol. Non è dunque rilevante che si bevano superalcolici, se non per via che quest’ultimi, se consumati come shot drink, vengono assimilati più in fretta dall’organismo, permettendo il raggiungimento di un più elevato tasso di alcolemia, e aumentando il rischio di incidenti alcolcorrelati alla guida.

Cosa ne pensa di questo nuovo abuso del bere giovanile chiamato binge drinking?

Il “binge drinking” è una modalità di consumo di alcol ripresa dai paesi anglosassoni, dove si raggiungono alti livelli di tasso alcolemico in tempi piuttosto brevi. Per fare un esempio, possiamo definire come “binge drinker” chi consuma sei unità alcoliche in una sera, ovvero sei bicchieri, se di sesso maschile, e 5 unità, se di sesso femminile. C’è da dire però che parlare di alcol nei giovani è un paradosso, in quanto non credo si possa prendere una categoria della nostra comunità, astrarla dalla collettività e farci dei ragionamenti sopra, senza riflettere sul resto della nostra società. Una volta qualcuno diceva che ogni comunità ha i giovani che si merita, ed io sono abbastanza d’accordo con quest’affermazione, ma se non ci interroghiamo sul modo di bere degli adulti è un po’ difficile interrogarsi sul bere dei ragazzi. La figura di riferimento genitoriale deve innanzitutto dare il buon esempio, deve fungere da riferimento pratico. D’altronde non sono stati i ragazzi, per fare un esempio, ad inventare gli Alcopops e gli happy hour, è stato il mondo degli adulti. Non demonizziamo le discoteche e i pub, non demonizziamo la categoria dei giovani, ma andiamo a fare un ragionamento più ampio sul bere della nostra comunità, che è effettivamente elevato. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ci dice che troviamo i maggiori consumi di alcol dove maggiori sono le produzioni. I paesi maggiormente produttori sono pertanto/di conseguenza quelli che hanno maggiori problemi.

C’è una consapevolezza dei danni arrecati dal consumo di alcol? Le campagne e le pubblicità ci dicono “bevi moderatamente”, ma come si può sapere quando è moderatamente e quando si oltrepassa questo confine?

Questo è un problema dibattuto ormai da decenni: qual è il livello della moderazione? Sul consumo di bevande alcoliche anche la medicina ufficiale ha diminuito drasticamente le dosi a rischio in 40, 50 anni: se negli anni ‘60 la medicina diceva che 1 litro di vino al giorno era tollerato dall’organismo, adesso la dose limite è due bicchieri al giorno per l’uomo adulto, sano e un bicchiere per la donna, dose minore perché l’organismo femminile ha il 30 % in meno di alcoldeidrogenasi, ovvero un enzima che metabolizza l’alcol del corpo. L’Oms sta cercando di non parlare più di problemi da uso o abuso di alcol perché questo la metterebbe nelle condizioni di dover decidere dove finisce l’uso ed inizia l’abuso, perciò parla semplicemente di problemi da consumi di alcol, non di problemi da abuso.

Si possono però ben definire le situazioni così dette “alcol-free”, quelle in cui è necessario non consumare assolutamente bevande alcoliche e quindi avere un’alcolemia pari a zero. Parliamo ad esempio delle donne in gravidanza e in allattamento, di diverse malattie, di chi usa farmaci, di chi guida, degli adolescenti perché fino ai 15-16 anni l’alcoldeidrogenzasi è poco o per nulla presente nel nostro organismo e quindi fino a quell’età non siamo in grado di eliminare l’alcol dal sangue. Ma non solo. La legge 125 del 2001 ha stabilito che esistono tutta una serie di attività lavorative per le quali il tasso di alcolemia deve essere pari a zero. Si parla, per esempio, di tutti i lavoratori della sanità, di coloro che operano su macchinari pericolosi o automezzi pesanti, degli edili o altri operatori che lavorano in altezza, ad esempio sulle impalcature. Possiamo nominare anche altre attività, come ad esempio i trasporti: il pilota dell’aereo o il comandante della nave; è certamente importante che essi non abbiano bevuto prima di mettersi in servizio.

E per quanto riguarda la prevenzione?

L’O.M.S. ci dice chiaramente che in una comunità, come per esempio la provincia di Trento, i problemi alcolcorrelati dei cosìddetti “bevitori moderati” causano una spesa sociale più elevata che non quelli dei cosìddetti “alcolisti”. L’O.M.S. afferma anche che in una determinata comunità, il numero di incidenti alcolcorrelati è direttamente proporzionale al consumo medio pro-capite; è chiaro, quindi, che se noi vogliamo fare della prevenzione dei problemi legati al consumo di alcol dobbiamo cercare di ridurre il consumo medio pro capite nella nostra regione. Per ottenere questo dobbiamo sensibilizzare la fascia di popolazione dei cosiddetti bevitori moderati, in quanto chi già non beve non può ovviamente ridurre, mentre gli alcolisti devono per forza smettere, non possono ridurre. Per questo motivo questo discorso di prevenzione è rivolto a tutta la popolazione, a tutta la comunità.

Sembra però che la salute venga in secondo piano, si pensa prima alla patente, ma non si pensa “non bevo per la mia salute”.

Sì è vero, ma i cambiamenti di comportamento indotti, devono essere per forza tali, anche con delle misure di questo tipo. Si tratta di una forma di coercizione che non è solo repressione, ma anche prevenzione, su questo non c’è dubbio.

I giovani sono consapevoli dei danni alla salute che possono riscontrare facendo uso di alcol?

I giovani sanno bene i rischi per la salute legati al consumo di alcol, ma sapere ed essere informati, non è sufficiente per cambiare il comportamento; sono necessari degli stimoli in più, ovvero mettere in atto quelle che in inglese si chiamano “Life skills”, le “capacità di vita”.

Le mie collaboratrici che fanno interventi nelle scuole mi riferiscono che i ragazzi sono consapevoli dei rischi, anzi a volte ne sanno di più di chi va a fare gli interventi, ma li avvertono come una realtà lontana dalla loro; il problema dunque non riguarda l’informazione sui danni, è necessario innescare un meccanismo virtuoso che porti a compiere scelte differenti. È un discorso molto lungo, ma la base su cui noi lavoriamo nei programmi delle scuole è un innovativo capitolo riguardante l’intelligenza emotiva. Ovvero: nel sistema scolastico italiano se un ragazzo studia, esce dal percorso scolastico che sa tutto degli altri e niente di sé. Nessuno nel sistema scolastico italiano ci insegna a studiare noi stessi, a leggere le nostre emozioni, a decifrarle, a capirle e a farci i conti. L’educazione razionale emotiva si occupa del cosiddetto A B C delle emozioni: A è il fatto, la circostanza, C è la reazione, l’emozione. Quello che di solito viene saltato nel nostro interpretare le emozioni è il punto B, cioè il fatto che dietro ogni emozione vi è il pensiero che regola questo sentire. L’emozione è regolata dal pensiero. Quello che vogliamo ottenere lavorando nelle scuole, è la capacità da parte dei ragazzi di dire di no al gruppo dei pari, quando il gruppo dei pari propone delle scelte che non sono un granché per la salute: bere, fumare, andare a 180 in macchina, ecc…

I ragazzi adesso, ma anche gli adulti, spesso bevono per gruppo, nessuno dei ragazzi a differenza degli adulti berrebbe da solo. Questo perché i ragazzi non riescono ad avere un comportamento autonomo e magari potenzialmente escludente da quello del gruppo.

Spesso viviamo in un mondo in cui la libertà individuale è portata in un palmo della mano, ma in realtà la libertà del “non bere” alcolici è una libertà che viene messa a dura prova tutti i giorni.

Le sanzioni incidono in qualche maniera sulla condotta?

Ci sono determinati campi, tra cui alcol e guida, in cui il parere della letteratura è unanime per quanto riguarda la modifica dei comportamenti, ovvero il fatto che siano necessarie tre condizioni: la buona probabilità di essere controllati, la severità e la sicurezza della pena. In Italia recentemente si riscontra un buon funzionamento delle ultime due condizioni. Per quanto riguarda la buona probabilità di essere sorvegliati, nonostante negli ultimi anni i controlli siano nettamente aumentati, non sono ancora sufficienti. Si pensi che nel 2005 in Italia erano stati fatti 390 mila etilometri contro gli 8 milioni e 600 mila della Francia, una disparità di dati estremamente elevata. L’Italia ultimamente sta aumentando la vigilanza e sta traendo da ciò dei buoni risultati.

Si può dire che ci sia una fascia particolare d’età colpita da alcolismo?

No, la dipendenza da alcol è una dipendenza che fortunatamente impiega anni a instaurarsi, non è quindi corretto parlare di alcolismo giovanile, poiché i giovani non hanno dipendenza, ma problemi alcolcorrelati dovuti al bere. Questo ci fa capire che non si parla solamente della questione della subordinazione all’alcol, anzi la dipendenza e gli alcolisti sono una piccola fascia dei problemi alcolcorrelati. La grossa fascia invece è dovuta a persone non dipendenti, non alcolisti. Il concetto che i problemi alcolcorrelati della nostra società siano gli alcolisti, è da sfatare, non è corretto!

È vero che bere un bicchiere di vino ai pasti fa bene al cuore e previene il tumore al seno?

Nulla di più inesatto, l’alcol è un grosso cancerogeno per il seno, non viceversa. Il problema di base è la cattiva informazione. Ad esempio gli esperimenti di laboratorio sono per lo più fatti usando il resveratrolo, non il vino. Infatti il resveratrolo è contenuto solo in minima quantità nella buccia dell’uva ed è pochissimo presente nel vino, mentre è contenuto in diversi frutti di colore rosso o verdure. I risultati di questi test mostravano come il resveratrolo facesse bene per la prevenzione delle malattie coronariche, ma sappiamo che le dosi usate negli ultimi esperimenti erano di 150 milligrammi al giorno e che per introdurli bevendo vino ne servirebbero almeno otto litri al giorno. Invece molti articoli di giornale riprendono il fatto che il resveratrolo fa bene e traggono la conclusione che il vino fa bene. In verità, questo passaggio è un’informazione errata su cui per anni si è basata l’opinione pubblica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice chiaramente che non si può assolutamente consigliare l’uso di alcol, vino o checchessia a scopi terapeutici, in quanto non è dimostrabile che faccia bene, e anche dovesse far bene, i dosaggi che bisognerebbe raggiungere sono così elevati che le controindicazioni diverrebbero maggiori (ad esempio il resveratrolo nel vino è associato all’alcol etilico e l’alcol etilico è cancerogeno e causa molti altri problemi).

In quanto a tumori, si è potuto appurare che il rischio (legato all’alcol) di sviluppare cancro al seno comincia già con un bicchiere al giorno, una simile dose ovviamente dà una probabilità minima, ma con due bicchieri al giorno aumenta, con tre ancor di più… aumenta in maniera esponenziale!

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