Anche i disabili hanno diritto alla quotidianità: che cosa cambia nel nostro Paese con l’entrata in vigore della legge sul Dopo di noi?

Data: 01/12/16

Rivista: dicembre 2016

Categoria:Disabilità e sensibilizzazione

Anche i disabili hanno diritto alla quotidianità: che cosa cambia nel nostro Paese con l’entrata in vigore della legge sul Dopo di noi?

«Parità di opportunità e uguaglianza non sono sinonimi. Infatti se a questo mondo fossimo tutti uguali, io non avrei bisogno di una pedana per attraversare la spiaggia e arrivare al mare» così l’onorevole Ileana Argentin, costretta dall’amiotrofia spinale in sedia a rotelle, spiega le ragioni che l’hanno spinta a farsi promotrice della legge sul Dopo di noi, volta a tutelare le persone affette da disabilità gravi dopo la morte dei parenti che si prendono cura di loro.

La legge, sostenuta da 89.000 firme, è stata approvata il 14 giugno 2016. I decreti attuativi dovrebbero invece essere resi pubblici entro i primi di dicembre.

«Finalmente le famiglie diventano protagoniste e possono costruire per il parente disabile un progetto di vita che rispecchi le loro aspettative, con la certezza che i loro sacrifici non verranno vanificati nel momento in cui dipartiranno» esulta Giancarlo Sanavio, direttore della Fondazione padovana F3, durante la conferenza sul Dopo di noi svoltasi in un’aula magna gremita a Palazzo dell’Istruzione di Rovereto il 22 ottobre, in occasione di “IO.TU.NOI [dis]abilità in festival”, la rassegna autunnale per indagare senza preconcetti il tema della costruzione di una società più giusta e inclusiva.

«La legge completa un percorso iniziato negli anni Settanta con la legge Basaglia per la chiusura dei manicomi – sostiene l’avvocato del Foro di Verona Elisa Beltrame – e contribuisce a smantellare gli istituti ottocenteschi dell’interdizione e dell’inabilitazione, promuovendo al loro posto la figura dell’amministratore di sostegno, introdotta nel nostro ordinamento nel 2004. Proteggere una persona, sia essa disabile o disabile, non significa infatti privarla della libertà, decretandone la morte civile, ma affiancarla per permetterle di esercitare nel miglior modo possibile il diritto di autodeterminarsi. Si pensi che fino ai primi anni 2000 i genitori dei ragazzi disabili erano costretti a fare causa contro di loro, per poterli così interdire e curare i loro interessi. Lo scopo principale delle norme di allora non era infatti quello di proteggere le persone, ma tutelare i patrimoni. L’amministrazione di sostegno si concentra invece sul progetto di vita del disabile».

«Progetto di vita – interviene Argentin – che grazie al trust esce finalmente dal meccanismo dei camici bianchi. Attraverso questo istituto giuridico i genitori dei ragazzi disabili potranno infatti prevedere che al momento della loro morte, i loro beni vengano trasferiti nella disponibilità di un fiduciario, che potrebbe essere anche un ente locale, un Comune per esempio, il quale avrà l’obbligo di amministrarli nell’interesse di un soggetto determinato, il disabile appunto. Questa soluzione gli permetterà infatti, qualora ve ne siano le condizioni, di continuare a vivere nella casa in cui è nato e cresciuto, magari attraverso il cohousing o altre soluzioni abitative condivise, sempre nel massimo rispetto delle differenze e delle caratteristiche di ciascun beneficiario». Una proposta che permette dunque di uscire dal meccanismo dei camici bianchi, che curano appunto, e di entrare in case dove anche il disabile possa cucinare, dormire, mangiare in compagnia, insomma, vivere nel pieno rispetto del proprio diritto alla quotidianità. Certo però le perplessità non mancano. «Il trust non è un istituto previsto dal diritto italiano – spiega Sanavio – pertanto le famiglie si trovano ora a fare riferimento a legislazioni molto lontane dalla nostra, per lingua e cultura, come quella delle isole Cayman», ma l’onorevole Argentin lo rassicura sul fatto che anche il nostro Parlamento sia intenzionato a colmare al più presto questa lacuna del nostro ordinamento giuridico.

Martina Dei Cas  

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