Ancora una bocciatura delle carceri italiane

Data: 01/08/01

Rivista: agosto 2001

Nel numero precedente Valter ci aveva parlato di carceri, di sovraffollamento, ci aveva spiegato come le condizioni di vita in quell’ambiente siano le meno indicate per il recupero di un cittadino responsabile di qualche reato e come addirittura le celle si trasformino in aule didattiche per corsi di malavita.

Neanche a farlo apposta qualche giorno dopo Amnesty International ha reso noto il suo rapporto 2001 sulle carceri italiane: davvero sconsolante!

Per farla breve, Amnesty ha bocciato in blocco il sistema carcerario italiano, denunciando in primo luogo il “clima di impunità” presente nelle prigioni della penisola in “mancanza di indagini e esaurienti nei casi di tortura e maltrattamenti ad opera di agenti e a causa dei ritardi nel condurre i responsabili davanti alla giustizia”. Un’accusa davvero grave rivolta agli agenti penitenziari i quali, in verità da anni, definiscono se stessi “carcerati” e vittime.

Dal monitoraggio del sistema penitenziario italiano, emerge inoltre che “nelle carceri e nei centri di detenzione temporanea per stranieri la tensione è stata alta e vi sono state diffuse proteste dovute in gran parte alle condizioni di detenzione che in qualche caso equivalgono a trattamenti crudeli o degradanti”.

Amnesty denuncia per l’ennesima volta l’eccessiva lunghezza e complessità dei procedimenti giudiziari, aspetto questo dell’amministrazione della giustizia in Italia più volte condannato dalla corte di Strasburgo.

Qualche conferma dalle carceri: due giornali, Magazine 2 e Ristretti Orizzonti hanno condotto indagini sul chi è il detenuto, qual è il suo retro terra familiare, quali sono i suoi desideri più immediati: risulta, ad esempio, che nel carcere di San Vittore a Milano un detenuto su tre ha avuto (oppure ha) parenti in carcere, cifra questa che a Padova scende a 1 su 5 mentre a Roma sale a 3 su 5.

Il 30% dei carcerati con parenti in prigione chiede di essere avvicinato a loro per tener saldo un legame familiare ma la richiesta viene respinta per l’impossibilità di trovare una cella libera.

Né manca la parola ufficiale delle istituzioni: al Senato, il neo Ministro della Giustizia Castelli, rispondendo il 5 luglio ad una precisa domanda durante il Question Time, ha dichiarato che i 41.983 posti nelle carceri sono occupati da 57 mila detenuti: praticamente 15 mila o dormono a turno oppure accatastati gli uni sopra gli altri.

In queste condizioni le carceri resteranno semplicemente il solito luogo di detenzione e di esclusione di cittadini dal resto della società e non dei posti in cui, accanto all’espiazione di una colpa, sia offerta la possibilità di un recupero.

Sono passati più di 200 anni da quando Beccaria scrisse Dei delitti e delle pene, testo di larghissima diffusione già a quel tempo, in cui l’autore riconosceva la necessità di rispettare la dignità del detenuto: pare però che da noi non è stato ancora letto.

Migliori garanzie per i polli

Una recente direttiva dell’Unione Europea ha stabilito che ogni pollo da allevamento deve avere a disposizione 0,8 m2 di spazio vitale.
Non si può dire che ne abbiano altrettanto i detenuti delle carceri italiane: durante una visita al Regina Celi di Roma una delegazione del volontariato ne ha trovato 14 in una cella abilitata per 4.
Come sottolinea il ben documentato rapporto sulle carceri dell’annuario sociale 2001 del gruppo Abele di Torino, la misura UE sugli spazi vitali da concedere ai polli è stata presa per evitare il fenomeno del cannibalismo tra gli stessi causato dall’eccessivo affollamento.
I detenuti non arrivano a questi estremi ma in compenso se la prendono con il proprio corpo: gli episodi di autolesionismo sono cresciuti in modo costante fino a raggiungere i 6.536 casi nel ‘99, ultimo anno rilevato.

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