Antonio Caterino. L’avvocato che, tra decreti e social, combatte gli stereotipi sulla dislessia

Antonio Caterino è avvocato. Nel 2012 – a soli due giorni dalla discussione della tesi di laurea all’Università di Perugia, città dove è nato e cresciuto – ha scoperto di soffrire di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). Oggi vive a Milano, collabora con lo studio legale LCA e su Linkedin si definisce un «dyslexia influencer». Il suo obiettivo, infatti, è quello di sensibilizzare studenti, genitori, compagni di classe, professori e istituzioni per rompere i tabù sulla dislessia.

Antonio, che difficoltà hai incontrato durante il tuo percorso di studi a causa della dislessia? 

Fino all’età di ventisei anni, non conoscevo la causa delle mie difficoltà né, naturalmente, mi sono mai avvalso delle misure compensative o dispensative a scuola e in sede di esami di universitari. I disturbi dell’apprendimento mi impedivano di trattenere in memoria ciò che studiavo. Era come se studiassi a vuoto, senza immagazzinare nulla, soprattutto nelle materie tradizionalmente ostiche, come il latino, l’inglese, la chimica e la matematica. In compenso, avevo un’ottima logica, uno spiccato intuito e un’infallibile memoria uditiva capace di resistere a distanza di anni.  Di conseguenza, il mio rendimento è stato pessimo in alcune materie ed eccellente in altre, in cui la mia intelligenza dislessica mi rendeva decisamente migliore di tutti gli altri. Era il caso, per esempio, di fisica, storia e filosofia. Lì, la mia logica dialogava in modo impeccabile con la mia immaginazione e la mia capacità intuitiva, permettendomi di comprendere le relazioni profonde tra cause e conseguenze e, dunque, di ricordare a lungo le informazioni perché sapevo da quali premesse ricavarle. 

E all’università com’è andata?

Se valutata sul lungo periodo, l’università si è rivelata più semplice e congeniale dell’esperienza scolastica, grazie alla possibilità di programmare lo studio sulla base delle mie preferenze personali, al fatto di non essere chiamato a sostenere verifiche o interrogazioni giornaliere né a svolgere prove scritte in tempi limitati. 

Come hai scoperto di soffrire di DSA?

La scoperta dei miei DSA è avvenuta per merito di alcuni amici e amiche, all’epoca studenti di medicina, con cui condividevo l’impegno nella rappresentanza studentesca. Conoscendomi a fondo e conoscendo altrettanto bene le natura dei DSA, sono stati i primi a ipotizzare che l’origine delle mie difficoltà potesse essere ricondotta proprio a essi. E, infatti, la loro ipotesi si è rivelata corretta perché a distanza di alcuni mesi è stata confermata da una visita specialistica.

I DSA impattano sul modo in cui una persona cattura la conoscenza, ma anche – forse – sul suo carattere…

Esatto. Il peso che deriva dal nostro diverso modo di funzionare in relazione a un testo scritto – sia esso costituito da parole, note musicali o numeri – ci fa sentire distanti e, in alcuni casi, anche incompresi o screditati da quella maggioranza di persone, presa come unità di misura di riferimento di una presunta normalità, alla quale si vorrebbe appartenere. Per questo motivo, ci si chiude in se stessi. Si tende a non parlare del proprio disturbo. Ma così si perde il supporto generoso, determinante e inaspettato di chi ci circonda e che  magari – se messo a conoscenza della nostra condizione – sarebbe entusiasta di aiutarci. Personalmente, i DSA mi hanno fatto capire che la vita a volte può essere ingiusta e che le cose non vanno sempre come meriteremmo, perché ci sono alcuni aspetti sui quali non abbiamo e non potremo mai avere il pieno controllo. Apprendere questa lezione mi ha insegnato a non rassegnarmi allo sconforto e, allo stesso tempo, ad essere indulgente nei confronti di me stesso e degli altri, imparando a sospendere il giudizio e ad alimentare la speranza.

A che punto siamo in Italia rispetto all’equo accesso a studi, lezioni, esami e concorsi pubblici delle persone dislessiche?

A dir la verità, oggi, a undici anni di distanza dall’introduzione della legge sui DSA (la n. 170/2010), posso dire che se le persone con DSA fossero ben supportate dalle misure compensative e dispensative a scuola, all’università e nel lavoro, in molti casi si collocherebbero in posizioni di eccellenza. Purtroppo, tali misure non vengono applicate in modo uniforme e, di conseguenza, nel nostro Paese secondo le stime dell’Associazione Italiana Dislessia, circa tre milioni di dislessici corrono il rischio di non riuscire a esprimere il proprio potenziale, rinunciando a percorsi di formazione o professionali che, invece, se supportati da misure idonee e da una cultura incoraggiante, potrebbero tranquillamente sostenere. In materia di concorsi pubblici, infine, l’obbligo di applicazione delle misure compensative è stato introdotto solo nell’agosto 2021. 

Il 2021 per te è stato un anno di meritate soddisfazioni. Infatti, sei riuscito a far introdurre le misure compensative e dispensative anche nell’ambito dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato…

Sì, si è trattato di un viaggio entusiasmante, lungo quasi dieci anni e reso possibile dall’audacia e dalla capacità di visione di figure straordinarie, che hanno messo la loro autorevolezza a disposizione della causa della tutela dei diritti delle persone con DSA. Tutto è iniziato tra il 2012 e il 2013 alla Scuola Superiore dell’Avvocatura del Consiglio Nazionale Forense, dove abbiamo posto le premesse per la redazione del Protocollo di Intesa sui DSA, sottoscritto nel 2019, a Milano, dall’Ordine degli Avvocati e dalla Corte di Appello, poi aggiornato ad aprile 2021. Il protocollo ha avuto il merito di regolare per la prima volta in Italia in sede di esame d’avvocato l’applicazione delle misure compensative e dispensative. Una garanzia che però, purtroppo, poteva essere fatta valere solo dai candidati all’esame iscritti presso la Corte d’Appello di Milano. Di qui l’avvio, assieme ai presidenti dell’Ordine degli Avvocati di Milano Vinicio Nardo e della Corte di Appello di Milano Giuseppe Ondei e al professor Gian Luigi Gatta, consigliere della Ministra Cartabia per le libere professioni, dell’iter affinché le misure varate dal protocollo trovassero applicazione su tutto il territorio nazionale. Un risultato effettivamente ottenuto grazie al decreto-legge n. 139/2021 e, successivamente, al decreto con cui la Ministra Cartabia ha bandito la sessione 2021 dell’esame d’avvocato.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri? 

Aprire un fronte di intervento analogo a quello avviato presso il Ministero della giustizia rispetto agli altri esami di Stato per l’abilitazione professionale. Vigilare sull’effettiva applicazione delle misure compensative nel pubblico impiego. E soprattutto presidiare il mercato del lavoro privato, ancora sprovvisto di qualsiasi tutela. Inoltre, mi piacerebbe lavorare sulla rivisitazione del concetto stesso di dislessia: sotto una luce positiva, completamente nuova, che esalti i vantaggi competitivi e i punti di forza propri dei DSA a discapito dei punti di debolezza, su cui negli anni si sono sedimentati i pregiudizi, fondati molto spesso su equivoci e ignoranza. 

 

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