Archeologia musicale

Data: 01/04/10

Rivista: aprile 2010

Innanzi tutto va detto che stiamo parlando di una materia di studio molto recente nel panorama della cultura accademica e della ricerca italiana, ed in effetti è un’etichetta che raccoglie sotto di essa vari approcci che hanno come comune interesse lo studio della cultura musicale e del paesaggio sonoro presso i popoli antichi.

È un movimento che si basa su due punti fermi: innanzitutto bisogna dire che nei primi anni del’900 si iniziò ad imbastire uno studio della cultura materiale, andando ad intraprendere un’accurata indagine su ogni indizio a disposizione (anche appartenente alla normale vita quotidiana) e non più solo le fonti sulle opere letterarie ricavate dai grandi autori, andando così incontro a nuovi orizzonti di discipline che prima non venivano studiate.

Più recentemente è nato il concetto assolutamente innovativo di “soundscape”, ovvero l’idea che l’uomo sia inevitabilmente calato in un contesto di suoni naturali, oppure creati volontariamente od involontariamente dalla stessa creatura umana, a cui numerosi esperti stanno ora dando moltissima attenzione; ben si sa che tutta l’archeologia è un’ipotesi, ma risulta inverosimile pensare alla preistoria come ad un periodo muto e privo di musica; per questo, lo studio del “soundscape” di altri popoli e di altre epoche può rivelarsi di notevole interesse e non una mera curiosità per appassionati. “Il canto degli antenati” di Steven Mithen esplora in modo esaustivo quello che fu la nascita dell’espressione sonora e musicale dei popoli primitivi.

Il linguaggio stesso è un fenomeno sonoro. Ovviamente non possediamo prove dirette dei suoni e delle melodie arcaiche, ma numerosi sono gli indizi musicali nelle illustrazioni iconografiche di strumenti, di gente dipinta nell’atto di suonare o produrre rumore; nel ritrovamento in tutte le epoche di attrezzi musicali (l’ultimo scoperto, un flauto in Germania risalente a 35.000 anni fa), provenienti dalla Mesopotamia, dall’Egitto (il cui clima ne ha preservati un buon numero) dalla Grecia, ed un’enorme quantità di strumenti romani presenti nei nostri musei in Italia, in particolar modo provenienti da Pompei (raramente studiati in un vincolo omogeneo, ma sempre visti in ottica indipendente tra di loro). Le fonti letterarie: oltre i rari frammenti di notazione antica (ne sono sopravvissuti una sessantina greci, praticamente nessuno romano), trattati sulla musica e sui sistemi di accordatura, armonia e scrittura musicale. L’etnomusicologia dei popoli antichi, ovvero scoprire quale fosse il loro rapporto con la musica ricostruito attraverso le letture dei testi (si vedano ad esempio le tante indicazioni in merito presenti nell’Odissea o l’Eneide).

Tutto questo contribuisce a creare un patrimonio di informazioni che possiamo chiamare “orizzonte sonoro del mondo antico” che non a caso è il titolo delle conferenze che vengono organizzate da qualche anno qui a Trento.

Fin’ora vi sono stati diverse esperienze che rimandavano a questo argomento, ma che non dialogavano tra di loro, per esempio a Firenze vennero fatte tesi di laurea riguardanti strumenti musicali. L’Università di Ravenna, ha esplorato l’argomento dal punto di vista filologico, con la professoressa Donatella Restani. A Cremona, la Facoltà di musicologia ha la cattedra di “Storia della musica greca, romana e bizantina” tenuta dalla professoressa Eleonora Rocconi. Terzo polo la Università di Lecce, si occupa di iconografia musicale, con la dottoressa Daniela Castaldo. Mai fino ad ora è stato condotto uno studio integrato dei vari punti di osservazione. Sotto l’intuizione della professoressa Mariette de Vos Raaijmakers ha condotto una tesi dal titolo “Musica e paesaggio sonoro nell’antica area vesuviana: per un’indagine attraverso lo studio della cultura materiale” (mettendo in azione una visione di raccordo tra l’archeologo ed il musicista; essendo all’epoca laureando in “Archeologia e storia dell’arte greca e romana” presso l’Università di Trento e diplomato al Conservatorio di S. Cecilia) ed inaugurando qui a Trento per la prima volta in Italia il corso di “Archeologia musicale del mondo antico”.

Possiamo trovare dal Castel Restor una “ribeba” (un antenato medievale del nostro scacciapensieri), un “sistro” (strumento di origine egizia) si può trovare al Castello del Buonconsiglio (dove si possono trovare anche bellissime iconografie), un grande mosaico di Orfeo (non raggiungibile dal pubblico per riallestimento dell’area, ma visibile nella foto grazie all’autorizzazione della soprintendenza dei beni archeologici di Trento) nella domus di via Rosmini.

Il famoso “femore del Gaban”, uno strumento a fiato neolitico ricavato da un osso umano, conservato al Museo di Scienze Naturali. Di interessantissimo livello storico, una ricerca in corso a Sanzeno in Val di Non, su uno strumento di apparente origine celtica: notevole esempio pratico di come l’archeologia musicale non serva solo a capire la musica ma la civiltà intera.

Ringrazio il professor Roberto Melini per la gentile disposizione a queste intervista che ci ha introdotto alla conoscenza di questa nuova disciplina. Colgo l’occasione per ricordare l’incontro del 14 aprile 2010 presso la SASS di Trento con il professor Umberto Pappalardo, che tratterà di Archeologia dello spettacolo: i teatri dei Greci e dei Romani. La cui partecipazione è libera e gratuità, nonché vivamente consigliata.

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