Attentati? Abbandonati!

Data: 01/12/16

Rivista: dicembre 2016

Categoria:Disagio e inclusione

Ho recentemente visitato tre paesi nell’Africa dell’ovest, due dei quali hanno recentemente subìto importanti attentati nelle rispettive capitali. E non solo.

Si tratta in ordine di Mali, Burkina Faso e Benin. Le capitali che hanno conosciuto disordini sono Bamako (2015) e Oaugadogou (2016).

Ho avuto modo, nel visitare diversi progetti e diverse comunità locali con le quali coopero da anni, di attraversare anche zone un tempo affollate come i paesi Dogon in Mali che vivono inerpicati sulla felesia di Bandiagara: una delle meraviglie del nostro mondo antico.

Mi accompagnò Lesserou Dolò, una guida turistica assai conosciuta nel mondo dei viaggiatori ma, forse, ancor più nel mondo dell’antropologia essendo il nipote di colui che relaziò direttamente con il curatore di “Dio d’acqua” Griaule Marcel.

Ebbene, da Bamakò sino a Mopti passando per Djenne e per poi addentarci faticosamente sino a Yassing non incontrammo un solo europeo, un solo bianco, un solo tubab (turista). Solo uno sparuto gruppo di artisti a Segoù per l’evento SegoùArt, il primo expò di arte moderna africano.

A Yassing, un paese a 70 km dalla falesia verso il Burkina Faso la popolazione ci preparò una tale e inaspettata festa non tanto per la storica amicizia e cooperazione (li avevamo aiutati a costruire una scuola e, ad inizio dell’attuale guerra, soccorsi con derrate di cibo) ma soprattutto per non averli oggi abbandonati. E’ dallo scoppio dei disordini che non si vede un volontario o un cooperante a quelle latitudini lontane centinaia di km. dalla prima strada asfaltata. Figuriamoci un viandante, un visitatore o un turista.

Sin qui siamo in Mali. Il paese è formalmente in guerra ed a parte i numerosi posti di blocco ed i continui controlli non si ha la sensazione, a sud del fiume Niger, di essere in una guerra guerreggiata. Eppure alcuna assicurazione copre per eventuali calamità in Mali e l’Unità di crisi del Ministero Affari Esteri, giustamente, ti allerta di non andare. Anche l’ambasciata di Dakar ti suggerisce di evitare o bypassare. Persino le guide turistiche come la lonely planet narrano quasi nulla del paese sconsigliando semplicemente di andarvi oppure di consultare siti di antropologia culturale per specialisti. Tutti fanno il proprio dovere per carità. Ma non si comprende come mai con la Francia e con Parigi o con la grande mela di New York non si usino le stesse precauzioni?

E come la mettiamo con il mercato di artigianato di Bamako che pullula di arte che nessuno compra? Con gli accompagnatori della Falesia di Bandiagara che nessuno visita nonostante sia un patrimonio Unesco? Con i marinai di Mopti – la Venezia maliana – che non hanno più nessuno da condurre via Niger sino a Timbuctu?

Entriamo in Burkina Faso. L’assicurazione riprende a dare copertura. Bene. Ai numerosi controlli di forntiera la polizia continua a darti il benvenuto e t’invita a fermarti per fare un progetto di cooperazione internazionale anche nel loro paese.

Ma anche nel paese degli “uomini integri” – così denominato da Thomas Sankara – il Che d’Africa morto amazzato dal recentemente deposto dittatore Compaoré – gli artigiani sono costretti a mendicare l’acquisto, i cantanti ed i cantastorie vendono CD perchè nessun turista più ascolta le loro canzoni.

Dopo l’attentato a inizio anno a Ouagadogou i rinomati locali con musica dal vivo hanno chiuso i battenti come i dignitosi hotel che circondano il grande mercato della capitale; uno dei più grandi d’Africa. Questo vive e pulsa in quanto trafficato da ogni etnia africana per la parte alimentare ma abbandonato nella parte artigianale ove si tenta di vendere un po’ di storia e di cultura locale. Nella casa del popolo è vietato entrare mentre il Centro esposizioni – una delle meraviglie architettoniche moderne – è già archeologia industriale. Quasi nessun europeo in capitale che noi attraversiamo tranquillamente ed a piedi anche di notte.

Infine il Benin. Non ha mai subìto un attentato e, fortuna sua, non è soggetto alle miserie della vicina Nigeria ove Boko Haram mette continuamente a repentaglio regioni intere. Ma qui è lo stesso. Turista alcuno. Nemmeno chi lavora per i corpi diplomatici sembra metter fuori il naso.

Al museo etnoantropologico della capitale Porto Nuovo ove v’è la raccolta più interessante di riti ed oggettistica vudù non c’è anima viva. I palazzi coloniali cadono a pezzi e nei pochi ristoranti locali servono solo cibo locale. (Il che è un bene in quanto il turismo ha contaminato anche i gusti). Eppure i residenti brulicano le strade giorno e notte; ci vogliono 20 minuti buoni per attraversare una Avenue trafficata da infinite motorette. Cotonou è piena di vita; peccato non vi sia la mescolanza continentale di un tempo con relativi traffici commerciali e turistici che, peraltro, assicuravano anche al nostro Bel Paese qualche opportunità.

Quale politica, quindi. Il mantra che l’UE debba prendere l’Africa come parimenti gli Usa presero l’Europa risale a don Sturzo e sono solo parole al vento. Diversamente se fossero i PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) ad avere un’iniziativa propria come stanno facendo con l’accoglienza dei migranti avrebbe più senso. Avrebbero inoltre tutto l’interesse di creare opportunità da dove i migranti iniziano. Ma nell’era dell’interdipendenza ove tutti siamo insicuri in ogni dove non sarebbe opportuno creare una gradazione della sicurezza? Tra l’ON e l’OFF (andare – non andare) vi saranno pure delle modalità intermedie che consigliano di abitare i paesi con diverse attenzioni. Il disertare tutti i paesi ove v’è stato un attentato come suggerito da Viaggiare Sicuri somiglia più ad un apartheid misto embargo. Cooperazione significa relazione. E questa non può essere solo virtuale.

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