Autismo: cosa si richiede alla scuola (parte 1)

Data: 01/10/03

Rivista: ottobre 2003

Anche quest’anno è iniziata puntuale la scuola, uno dei momenti più importanti nella formazione di un ragazzo che, passo dopo passo, sta facendo la sua entrata in società. Per qualcuno di loro è anche un momento fondamentale sulla via del recupero di un handicap. In questo caso l’impegno dell’istituzione “scuola” deve essere il più intenso possibile per mettere a disposizione del ragazzo la massime chance di entrare anche lui in società ed esprimere tutte le sue potenzialità. Poche o tante non importa. L’articolo, data la sua lunghezza, è stato suddiviso in tre parti: questa è la prima.

Alla SCUOLA si richiede QUALITA’ e non quantità. Noi veniamo a ritirare Jacopo anche dopo solo un’ora di lezione, non ci sono problemi, né ci sentiamo per questo in difficoltà o contrariati, ma è essenziale che il permanere di Jacopo a scuola sia produttivo e di alto livello qualitativo.

Qualità

Qualità significa: non avere pregiudizi; calma, disponibilità, tranquillità; sapere bene cosa “fare” e soprattutto sapere cosa “non-fare”.

Cosa è l’autismo

È un disturbo cerebrale complesso, le cui cause sono ancora poco chiare, che condiziona ed altera profondamente l’utilizzazione corretta delle informazioni che giungono al sistema sensoriale nella sua globalità.

Conseguentemente il bambino non è in grado di comprendere, distinguere, codificare ed utilizzare le informazioni visive, uditive, tattili ed olfattive, che gli giungono dall’esterno.

È confuso e invaso da un intricato e spesso intollerabile insieme di sensazioni difficilmente gestibili. Questo suo vivere in un caos sensoriale gli impedisce di partecipare, relazionarsi, capire, apprendere ed elaborare come succede normalmente agli altri bambini. Questa enorme difficoltà di ricevere adeguatamente e di utilizzare informazioni diventa vuoto di informazioni. Vuoto che si esprime in mancanza di interessi, di linguaggio, in solitudine, agitazione, ritardo, ritualità, incapacità di relazione ma questo non significa che Jacopo e i bambini come lui, non desiderino liberarsene, né che non lo si possa insegnare loro.

Lo sforzo di tutti è di rendere chiaro ciò che viene proposto e di condurre progressivamente questi bambini verso una selezione, un ordine nell’apprendere e una normalizzazione del vivere con gli altri, eliminando ciò che è di disturbo in questo cammino sia che venga dall’esterno, sia che dipenda dal problema biologico condizionante.

Sapere cosa “fare”

Accogliere un bambino con autismo o malattie correlate significa adottare le dovute strategie. Sapere cosa “fare” significa sapere: cosa richiedere all’ambiente; luoghi, tempi e attività da effettuare debbono essere sempre progettati prima

1 – strutturazione del luogo. Significa organizzare e definire stabilmente alcuni spazi “protetti” all’interno della scuola, Luoghi specifici, utili ad una ottimale realizzazione delle attività da svolgere, identificati secondo le caratteristiche del bambino e gli obiettivi educativi per lui individuati. “Protetto” significa: configurato, adeguato, tranquillo. Significa anche OCCASIONALMENTE organizzare e definire rapidamente ulteriori spazi “protetti” per adeguarsi ad attività diverse, nuove.

2 – Strutturazione del tempo. Sulla base delle caratteristiche del bambino e degli obiettivi educativi per lui individuati si debbono progettare, condividere, valutare gli insegnamenti da proporre. Questo significa organizzare e definire prima, in generale e nel quotidiano, i tempi, le attività da proporre e eseguire; come effettuare la loro misurazione, registrazione, nonché le valutazioni periodiche da effettuare sugli apprendimenti per elaborare nuove pianificazioni e strategie. NB. L’organizzazione dello spazio e del tempo dovrà essere pianificabile, comprensibile e visibile anche per il bambino.

3 – Strutturazione delle attività (es. Costruire e seguire il Tabellone calendario-attività).

Cosa richiedere alle persone

1 – cosa è richiesto alle insegnanti. Fiducia in sé stesse e nel bambino; dedizione, determinazione & continuità; preparazione, formazione e affrancamento dai pregiudizi (Es. di pregiudizi radicati quanto falsi: handicap irreversibile; ritardo mentale; averbalità: aggressività; asocialità; autolesionismo, bambini pericolosi, difficili, ecc. I pregiudizi confondono e impediscono il riconoscimento che l’autismo è una disfunzione e non un male senza soluzione.

Avere nella scuola un bambino con autismo è come avere un bambino con diabete. Come una classe intera è informata e si ferma di fronte ad un malore di un bambino con diabete per soccorrerlo, per la stessa ragione dovrebbe fermarsi se Jacopo con autismo, non riesce a comprendere quanto gli è richiesto.

2 – Eliminare il “no” e la frase “questo non si fa”. La negazione e basta non serve a questi bambini. Non possono riempire un vuoto con un vuoto. Ma vale per essi la sostituzione, l’alternativa. Una azione negata va giustificata e subito sostituita con un’altra azione o proposta, giustificata, guidata, facilitata, premiata.

Va spiegato il perché non si fa l’azione negata. Lo si può fare verbalmente oppure disegnando delle vignette che spieghino visivamente quanto non va fatto e quanto invece va fatto in alternativa e vanno spiegati gli effetti di queste due contrapposte scelte, sia sul bambino, sia su chi gli sta attorno (es. Non gridare perché tutti scappano mentre quando parli tutti tornano felici e sorridenti).

In certe situazioni la negazione può trovare accoglienza se la sua formulazione viene opportunamente anticipata con una spiegazione (ad es. non ci fermiamo perché il negozio oggi è chiuso).

Cosa si chiede al bambino

Qualsiasi competenza è acquisibile da un bambino con autismo. Meglio se è una abilità o una competenza spendibile, funzionale, utile a migliorare la propria integrazione piuttosto che di rara utilizzazione. Certamente ci vuole tempo e impegno ma tutto può essere insegnato. “Se un bambino fallisce, non è sbagliato il bambino, ma la richiesta che gli è stata fatta”. Se c’è insuccesso occorre semplificare, scomporre modificare la richiesta per renderla eseguibile. Rendere eseguibile consente al bambino di divertirsi e di ottenere gratificazione da chi gli è attorno e dalle cose che fa. Rendere eseguibile non significa trasformare la vita in qualcosa di stupido, ma consentire al bambino di non diventare uno stupido. Se il bambino ha successo occorre andare oltre con: 1) allenamento; 2) accelerazione; 3) generalizzazione; 4) implementare.

NB. In molte situazioni accade che se un compito è svolto molto bene dal bambino, che risulta interessato e tranquillo per un discreto intervallo di tempo, l’identico compito (es. un puzzle) viene proposto di routine al bambino, e persino di continuo.

Uno dei problemi di cui soffrono questi bambini è la ritualizzazione e la adesività, modalità che consentono loro di comprendere apparentemente meglio quanto accade nel mondo caotico che ruota attorno a loro, ma che li lega ad una routine devastante.

Attenzione: la propensione al ripetersi e al permanere eccessivamente non li trasforma in geni (es. il personaggio fumetto del film “Rain man”) e non va spronata, né tollerata ma va invece usata come strumento per far lavorare meglio il bambino (es. ti lascio fare il puzzle un minuto, poi lo sospendiamo, lasciandolo lì in bella vista, per disegnare o per dire la filastrocca… e dopo tutte queste attività, lo riprendiamo per altri due minuti).

Possiamo usare il SE-POI, cioè se farai questo (attività desiderata dall’insegnante), poi potrai fare quest’altro (attività desiderata da Jacopo). La flessibilità e l’armonia nelle competenze (e non l’eccesso) è un obiettivo importantissimo nella soluzione dell’autismo.

Prima di tre parti.

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