Autismo e terapie (prima parte)

Autori:Redazione

Data: 01/06/02

Rivista: giugno 2002

Tiziano Gabrielli, preziosissimo collaboratore di pro.di.gio., ci ha inviato per e-mail questa amara ed illuminante riflessione sull’approccio all’autismo in strutture pubbliche da parte dei così proclamati “specialisti ufficiali”. A fine lettura troverete calzante a pennello per loro (eccetto i rari splendidi professionisti di cui sotto) la paradossale affermazione Arthur Bloch: «Un esperto è una persona che sa sempre di più su sempre di meno fino a sapere tutto di nulla». Per la sua lunghezza siamo costretti a suddividere l’intervento in due parti di cui la seguente è la prima.

Parlare di terapie utili o globali in autismo è particolarmente intrigante perché permetterebbe di affrontare e forse risolvere molti aspetti cruciali e molti dei pregiudizi che circondano l’autismo.

Comincio dai secondi, i pregiudizi, perché condizionano i primi e tra gli aspetti cruciali appunto la terapia e come la si intende.

I PREGIUDIZI sull’autismo, non solo penalizzano lo studio e l’approccio a questa malattia ma rendono i pazienti con autismo, e altre malattie cognitivo comportamentali in genere, “vittime incolpevoli” di una grave discriminazione culturale, medica, sociale, familiare e di un “non intervento” o “pseudo-intervento” continuato e legittimato, se non da una vera e propria indifferenza, da una miriade di soluzioni formali, di parole d’ordine, di ingiustificabili attese e catatoniche speranze, di spreco di denaro pubblico per gruppi di studio su progetti sanitari balbettanti e per associazioni impegnate ad auto-livellarsi verso il basso e particolarmente sensibili alle soluzioni personali, ai piaceri ricevuti e da ottenere, anziché ai diritti calpestati e da richiedere, e in genere più attente ai bisogni di chi sta attorno a questi pazienti che alla loro malattia e “soluzione (la migliore possibile oggi, ovviamente)”.

Al problema autismo se ne sono aggiunti così molti altri che da secondari sono divenuti primari e che la scomparsa dell’autismo renderebbe evidenti e scandalosi, ma che oggi costano e gravano questa particolare patologia.

Non ovunque, non tutti, forse oggi un po’ meno, ma in generale siamo osservatori muti di “uno scempio”, conosciuto, visibile e che si realizza in modo articolato: il ritardo, il non intervento. Nessuno ancora ha il coraggio di alzare la testa dalla “corruzione” degli affari che ci sono dietro, dalla responsabilità di tutti di non opporsi duramente ad ogni distrazione dal vero scopo: affrontare correttamente e risolvere più il più possibile, prima possibile le conseguenze di questa patologia che potrebbe essere riassunta così:

  • grave problema neurologico;
  • che si riconosce tardi;
  • su cui si intervenire tardi;
  • troppo spesso si interviene male;
  • si intervenire poco;
  • e dove tutti aspettano che qualcun’altro lo faccia per loro.

Ci sono genitori e rari splendidi professionisti che lavorano per rimuovere il fango che avvolge i nostri figli: i pregiudizi che ce li uccidono e tutti noi dovremmo cercare di individuarli e imitarli.

Torniamo ai PREGIUDIZI. Scriverò qui di seguito, a caratteri maiuscoli, ciò che credo sia PREGIUDIZIO o che crei PREGIUDIZIO o che opportunamente mascheri un PREGIUDIZIO.

Sorvolo sulla MADRE FRIGORIFERO, sul PADRE AUTISTICO COMPENSATO, su “LÌ C’È UN PROBLEMA FAMILIARE”, ecc. Concetti così gravi da sconvolgere ancor oggi ogni tentativo di comprendere e affrontare l’autismo. Eppure c’è ancora chi li fa propri e l’orrore è così diffuso che nemmeno credereste…

Autismo = Sindrome

È apparentemente corretto e significa non poter attribuire il ruolo di “malattia” a questa patologia perché si è di fronte ad una costellazione di problematiche. Contemporaneamente però tale termine porta con sé altre valenze e sottosignificati, che riassumeremo in “troppi dubbi”ed eccessiva variabilità nei casi…

Si dice infatti: “OGNI CASO È DIVERSO”, ma questa particolare e lodevole attenzione alle specificità, per affrontarle una ad una come parti di un insieme, diventa spesso la giustificazione per non intervenire su “ciò che accomuna” e inoltre sta a suggerire che ci vorrebbero “una moltitudine di cure differenti”… il che equivale a dire: “NON ESISTE TERAPIA”.

Queste due ultime affermazioni sostanzialmente corrette in un ambito squisitamente medico non hanno senso nella vita pratica (eppure sono così ridicolmente diffusi e difesi, non solo dalla parte “fatiscente” della classe medica, quella che sta a guardare, ma sono anche la filosofia di molti genitori accecati dal vuoto che li circonda, in ricerca perenne di autoassolvere i propri improduttivi dubbi).

Inoltre a ben vedere, questi due concetti sono FAZIOSI. Per ciò che attiene al primo si sappia che la medicina fonda se stessa sullo studio degli “elementi in comune”, utili per inquadrare e combattere una patologia, e perciò si può sempre includere un caso all’interno di un contenitore (la DIAGNOSI) così come, per contro, si potrebbero per ogni patologia costruire una moltitudine di contenitori, nel rispetto delle possibili differenze esistenti sempre tra caso e caso (se fosse così non avremmo più “diagnosi” ma biblioteche di descrizioni particolareggiate).

Essendo oggi possibile una diagnosi di autismo, anche se nel limite di osservazione/inchiesta, e disponendo di riscontri anatomopatologici significativi, è un controsenso medico continuare a parlare di sindrome (il termine sindrome: si riduce a pura indicazione sintomatologica).

Sull’affermazione che “non esiste terapia” si veda il dialogo ipotetico riportato oltre.

Autismo: diagnosi severa

Saperlo è importante, meglio se presto ma dovrebbe essere il punto di partenza e non di arrivo, una spinta verso l’impegno solutore, verso un nuovo modo di agire e di condividere informazioni e conoscenze che dovrebbero girare in un mondo variopinto di operatori, con tanto di titoli e stipendi, e che per di più hanno scelto di occuparsi di queste problematiche mentre chi ne è colpito le subisce suo malgrado. Eppure si limitano alla diagnosi. In pratica sia in campo medico, che sociale l’autismo e altre malattie cognitivo comportamentali, sono considerate capolinea, “handicap grave” fenomeno patologico conclusivo da cui può partire solo “rassegnazione” e “assistenza” e tutto quello che viene in più è “grasso che cola”.

È questa una ulteriore conseguenza del precedente assunto: “CONDIZIONE INCURABILE” e per certi versi grande pregiudizio perché “non si vuol” riconoscere o non si vuol presagire una possibile uscita. Èuna diagnosi-conclusione non un inizio di intervento. Questo punto di vista inoltre trasforma noi genitori, automaticamente, in questuanti beoti, in attesa di quello che non esiste, genitori fastidiosi perché qualsiasi nostra richiesta è intimamente vissuta come irragionevole. Questo pregiudizio favorisce anche una maggior indifferenza verso le patologie associate (ad es. di pertinenza ortopedica; odontoiatrica; oculistica ecc.) complicando il ruolo di “vittime immolate” dei soggetti con autismo e malattie similari.

“Ma cosa sta a guardare, ha ben altro a cui pensare”

A proposito di Terapie… l’importanza delle parole…. È certo che per “terapia” comunemente si intende un intervento medico, mentre nel caso di malattie psichico – comportamentali in genere, autismo in particolare, il ruolo medico -specialistico si slava e si riduce alla diagnosi, a cui segue una presa in carico formale, scarsi esami da effettuare, scarse valutazioni, pochi farmaci disponibili; di chirurgia (per fortuna) non se ne parla nemmeno… Sembra che resti dunque poco da fare ai medici, ancor meno agli specialisti che, al momento di definire la “terapia”, cominciano a confondere le acque e a delegare (logopedista; psicomotricista…) e poi o nel mentre ecco la soluzione: “INTEGRAZIONE”, per cominciare SCOLASTICA, e vista la carenza…. TERAPIA PSICOLOGICA DEI GENITORI…

Simuliamo il tipico dialogo tra medico (M) e genitore (G).

G. Ma allora, si può parlare di TERAPIA MEDICA?

M. No. O meglio se vuol calmarlo ci sarebbe un farmaco…

G. Ma scusate (direbbe un genitore che frequenta congressi) non c’è l’abilitazione?

M. Ah, sì.

Terapia Abilitativi

Una volta in realtà in medicina si parlava di “ri-abilitazione” ma ora, per far comprendere che ciò di cui necessitano i pazienti con autismo non “È TUTTO DENTRO”, anzi “c’è veramente poco dentro”, e che i comportamenti, le abilità, le funzioni vanno insegnate ex-novo, una ad una, si parla finalmente di “abilitazione”.

Il solito medico ci direbbe:

M. L’intervento di cui parlate non è medico perché è costituito da TERAPIE COMPORTAMENTALI che riguardano gli educatori dei comportamenti”.

G. Ma allora chi le effettua ? Dove si praticano?”

M. A casa (i genitori).

G. Ma sembrava che I GENITORI NON DEVESSERO FARE I TERAPEUTI…

M. Giusto infatti, sarà “la scuola”… il collegio docente che verrà aiutato da una ulteriore figura professionale: la docente di sostegno, anzi meglio, faremo in modo che sia laureata in psico-pedagogia…

G. Credevo che la pedagogia si occupasse solo dell’aspetto cognitivo, degli apprendimenti squisitamente scolastici… Allora la pedagogia, l’integrazione scolastica è la “abilitazione”, il tocca sana !

M. No. No… ma aiuta… Sì aiuta…

G. Qualcuno però lamenta che ci sono problematiche mediche (iperattività epilessia; ritardo mentale; comportamenti problema; scarsa attentività ecc) che rendono difficile l’apprendimento delle materie scolastiche e che pertanto non basta un intervento pedagogico {“speciale? normale? semplificato?} perché, in qualche caso proprio a causa della patologia, non è assolutamente attuabile, o attuato…”

M. Fra poco ci saranno laureati in pedagogia-clinica che saranno formati specialmente in aspetti medici… ehm, o forse meglio in pedagogia… tutte e due?… booh…

Qualcuno si stupisce. Ma le cose stanno proprio così.

G. Ma come mai in tutto il mondo si praticano terapie comportamentali (Analisi Comportamentale Applicata; Terapia di Scambio e di Sviluppo; ecc.) addirittura programmi statali (Teacch) e da noi nulla? Allora “terapia” è un termine che significa cosa? Non sono i medici che prescrivono “terapia”?

I medici specialisti messi di fronte all’evidenza del loro latitare, escogitano una nuova parola d’ordine: “Terapia Multidisciplinare” che automaticamente li qualifichi anche come supervisori. [..]

Tiziano Gabrielli,
Genitori in Prima Linea.
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(La seconda parte nel prossimo numero di agosto)

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