Come mai non esistono più quelle sane CONVINZIONI che crediamo patrimonio della conoscenza medica. Questa nuova progenie di laureati non ha il coraggio di distanziarsi pubblicamente nemmeno dalle teorie che non hanno mai visto funzionare, quelle palesemente sbagliate; figurarsi se saprebbero perorare approcci validissimi ma non legittimati da pubblicazioni studiate durante il loro percorso di studi e di formazione. Come possono formarsi “abilitatori” se imparano da chi non l’ha mai fatto e non lo farà mai? Come possono prodursi professionalmente se imparano esclusivamente a somministrare VALUTAZIONI (leggere diagnosi) e NON ad abilitare?
Come può permettersi un genitore di contestare il proprio medico, CHE NON SA CHE FARE, che però con le sue certificazioni gli garantisce quel minimo di sostegno, decide e deciderà periodicamente se il caso è grave a sufficienza per ricevere un aiuto, un’erogazione, una presenza, un contributo.
Come può un genitore contestare una scuola, per un “non” intervento educativo, se LA CERTIFICAZIONE che accompagna quell’alunno proclama il fallimento della terapia e conseguentemente l’illegittimità degli obiettivi didattici da perseguire con lui?
Come può un genitore avanzare richieste sostanziali alla scuola, riguardanti l’apprendimento, se nessun legislatore le ammette come obbligatorie (non semplicemente legittime). Come può un legislatore sentenziare un’obbligatorietà se tutte le figure referenti, specializzate in questo tipo di pazienti, gli suggeriscono che non se ne ricava nulla, che la sindrome è incurabile, NON SE NE VIEN FUORI… forse non serve nemmeno quello che si fa e pertanto è come dire a priori quello che si fa… va bene! Come potrà il legislatore cogliere questa contraddizione e preoccuparsi di abbandonare gli aspetti formali per sostenere sostanzialmente tale presa in carico.
Come può un genitore contestare i numeri delle erogazioni, dei denari spesi, delle professionalità coinvolte, delle leggi legiferate?
Come può contestare i trend collettivi che si stanno affermando e che non vedono altro obiettivo che le “case di accoglienza”… A volte credo che i miei colleghi medici, che conoscono solo farmaci o precisi atti chirurgici come bagaglio terapeutico, trovino del tutto naturale che dopo soli tre anni di “residenzialità”, qualsiasi soggetto autistico, indipendentemente dall’età di accesso e dal livello abilitativo raggiunto, prima di accedere a tali strutture,
riceve in tutto il territorio nazionale, nell’arco della giornata, identica somministrazione di farmaci per tipologia e dosaggio. Personalmente lo trovo aberrante.
Credo che questo dato sia sufficiente a far comprendere a chiunque, non solo ai miei colleghi o agli insegnanti, ai genitori, a chiunque dico, quanto orrore ci sia dietro la risposta formale che si vuole, a tutti i costi, far passare come sostanziale.
E aggiungo, a chi viene a dirvi che la sindrome è grave dite semplicemente loro che non è vero e non perdete tempo a parlare loro di centinaia di persone con questa sindrome che vivono con dignità e bellezza ( grazie ad interventi abilitativi efficaci e conosciuti) ma che le istituzioni non si preoccupano di fornire in quanto richiedono convinzione, applicazione, costanza, dedizione, passione…
Come possono la sanità e l’università abbandonare questi pazienti? Come sossono la scuola e la cultura allinearsi, lasciar perdere, rinunciando alle bandiere, allo scontro, alla dialettica che costringe le persone a provare, a cercare ancora.
Miei cari fratelli, genitori di persone con autismo, quando smetteremo di prenderci in giro, di sognare soluzioni che non passino dal lavoro continuo. COME POTREMO mostrare loro che SI PUO’ FARE se noi per primi NON usciamo dai pregiudizi, da quest’insano attendismo, nell’attesa di una solidarietà becera e pietosa che ci isola sempre più nella DIVERSITA’ e che condanna i nostri figli all’orrore che vogliono farci credere in qualche maniera “obbligato”?
Come possiamo ad ogni incontro pubblico cercare di ricucire alleanze con chi non ascolta, con chi non vuol vedere? Cosa serve buttare e far buttare montagne di soldi per confezionare spazi che restano solo loro?
L’obiettivo è e deve tornare ad essere “l’abilitazione”. Nessuna della miriade di richieste avulse da questo. Deve valere la stessa Costituzione per i nostri figli come per gli altri, la stessa legge, il diritto ad avere una cura e se questa, a tutt’oggi, è la pedagogia educativo cognitivo comportamentale, senza forse e senza ma, deve essere resa disponibile.
Deve valere per i nostri figli l’evidenza di un apprendimento, l’evidenza di un intervento educativo. Dobbiamo far sapere che ABILITARLI è possibile, è ottenibile.
Il medico deve alzare la voce e, come fece il dr. Asperger, indicare con chiarezza cosa c’è da fare ora (come allora). Deve infrangere i compartimenti stagni, tra istituzioni e professioni; l’obiettivo è il paziente, l’alunno e non le alleanze, le politiche, le cautele, le normative, le circolari.
Chi sa fare abilitazione si metta alla prova, mostri la propria competenza, senza indugio, sradicando all’origine le velleità, i personalismi, il gioco naturalistico ed egocentrico di una pedagogia mimetica, che non interessa più nessuno, anziché responsabile e pretenziosa e si affermi una pedagogia responsabile e pretenziosa.
Creiamo dei pool di terapeuti che si muovano sul territorio che mostrino in pratica quanto si può fare e come si possa fare e che siano supervisori reali di quanto effettuato e di come è effettuato, in grado di avvallare o interrompere una presa in carico.
Diamo degli incentivi alle scuole per le buone prassi, premi e penali che risultino dirimenti. Diamo regole e indichiamo la strada a chi vuol rispettare, non la conoscenza o l’efficacia, ma il disabile che lo pretende e la società intera che pretende questa tutela e l’auspicato recupero.