Come funziona, nel 2009, il servizio di trasporto urbano per le persone con disabilità? Questa domanda ci ha indotto a fare qualche piccola indagine per verificare la corretta funzionalità di un servizio che non sembra essere sfruttato da chi, come molte persone disabili, potrebbero trarne il maggiore vantaggio.
La scarsa mobilità è, in molti casi, uno dei problemi più significativi dell’essere “diversamente abile” e l’autobus in fondo non è altro che un grosso mezzo ideato per portarti dove non puoi o non vuoi andare autonomamente. Per un “carrozzato” poi, considerato che probabilmente non può guidare e deve perciò dipendere dagli altri per i propri spostamenti, tanto vale “dipendere” da un servizio offerto all’intera comunità, il che è oltretutto notevole sul fronte dell’integrazione.
Certo è che non devono esserci più problemi che vantaggi affinché ne valga la pena ma, fino a non molto tempo fa, purtroppo era proprio così.
Alle soglie del 2000, a Trento, l’uso di autobus, pullman, treni e taxi era ancora pressoché precluso alle persone con handicap fisico; costretti sulla carrozzina o con gravi limiti alla deambulazione.
Un tentativo di fare il punto della situazione fù fatto mercoledì 26 gennaio 2000 presso il centro servizi culturali Santa Chiara di Trento in un convegno intitolato: “Una strada verso l’autonomia: esperienze e proposte per il diritto alla mobilità”. L’intestazione da sola rende con efficacia gli scopi dell’incontro: discutere del diritto delle persone disabili, o con limitata autonomia motoria, a muoversi autonomamente nel territorio. Furono presentati in questa occasione i risultati di un questionario sulla mobilità distribuito a 440 disabili della Provincia. Più del 50% degli interpellati rispose e questo, si disse, è di per sé un segno dell’importanza che ha per loro la mobilità. Dai dati risultò che i trasporti più utilizzati dai disabili trentini sono nell’ordine: 1) trasporti speciali “porta a porta”, per intendersi il servizio offerto dalle cooperative “La Ruota”, “La Strada”, “La Casa”; 2) i mezzi privati di parenti o amici; 3) mezzo privato proprio. Nessuna sorpresa quindi, visto che purtroppo queste erano le uniche modalità di trasporto a disposizione di chi ha un deficit motorio.
Dall’indagine emerse anche un dato interessante: tra le modalità di trasporto che i disabili vorrebbero utilizzare, ma non possono perché inaccessibili, ci sono ai primi posti l’autobus urbano ed il taxi. Il primo è gradito perché dà l’opportunità di stare in mezzo agli altri e di fare la stessa strada; il secondo per la tempestività di risposta alla chiamata e perché considerato meno “ghettizzante”.
Sono passati ora quasi dieci anni; cos’è cambiato? Gli autobus “accessibili” si sono moltiplicati e anche molti degli altri problemi sono stati risolti; ma esaminiamoli questi problemi: anzitutto gli autobus accessibili servono a poco se accessibili non sono le fermate, e quando già 18 autobus “sbarrierati” giravano per Trento (nel 2000 e giù di lì) queste ancora non c’erano. Oggi le fermate accessibili sono invece molte e tutte comodamente elencate sul sito della “Trentino Trasporti”. Altro problema: i primi autobus muniti di pedana avevano un sistema di discesa automatizzata di quest’ultima che causava solo problemi in quanto spesso non funzionava o era talvolta poco compatibile con il terreno circostante. Successivamente gli autobus sono stati integrati con un sistema di discesa manuale e gli ultimissimi “Scania” nuovi (sono circa una trentina in tutta Trento) si avvalgono solo di questo sistema, senza più automatizzazioni. Questo comporta un ulteriore perplessità: chi attiverà il sistema manuale? Se, come è naturale, sarà l’autista, andrà opportunamente considerato questo nuovo ruolo “relazionale” del conducente, che non sarà più un anonimo operatore nella sua cabina, ma si relazionerà direttamente con l’interessato.
Ultima e attualissima questione: certe nuove carrozzine elettriche sono di dimensioni superiori a quelle standard di solito rispettate per la costruzione di tali mezzi oppure, sugli autobus, sono gli spazi appositi dedicati alle carrozzine ad essere leggermente troppo stretti. In ogni caso la conseguenza è che con una carrozza elettrica solo a malapena ci si può inserire nella postazione apposita per poi allacciarsi correttamente con la cintura di sicurezza. Basterebbe pochissimo (accorciare di una decina di centimetri la parete ove poggia la carrozza) per risolvere questo piccolo ma non indifferente problema che costringe il disabile a disporsi un poco girato di lato, occupando, tra l’altro, più spazio. Il rischio è che con una carrozzina anche solo leggermente più ingombrante di quella che abbiamo testato esso non riesca affatto a posizionarsi. Sarebbe altresì corretto che quest’informazione fosse presente sul sito di Trentino Trasporti (nell’utile e già presente sezione “disabili”) assieme ad un’altra, forse ritenuta scontata ma di fondamentale importanza: sugli autobus (nuovi o vecchi che siano), esiste un’unica postazione per disabili, il che ovviamente significa che non a senso per due carrozzati aspettare l’autobus alla stessa fermata e se un disabile è già a bordo il secondo dovrà aspettare la prossima corsa.
Tutto sommato si deve comunque parlare di un notevole progresso dell’accessibilità nel trasporto urbano durante questi ultimissimi anni, peccato che non si possa dire lo stesso della “fruibilità”; in totale antitesi con il sondaggio del 2000 (che testimoniava una gran voglia di autobus per i disabili) coloro (quantomeno i carrozzati) che lo utilizzano frequentemente rimangono un pugno di pionieri.