“Se non marciamo insieme, ci uccideranno separati”. Si facevano coraggio così i 56 studenti che il 26 settembre sono scesi in piazza a Iguala, Messico per chiedere più istruzione per tutti. Di loro solo 13 sono tornati a casa. Degli altri sono rimasti i quaderni, i poster appesi alle pareti di case senza la corrente e le lacrime di madri e sorelle versate nell’impasto di mais. Già, perché quei ragazzi erano indigeni e contadini, eppure più di molti altri onoravano la memoria di Guerrero, storico Presidente indipendentista messicano a cui il loro Stato deve il nome. Infatti nonostante la povertà, avevano trovato il coraggio di compiere l’atto più rivoluzionario di tutti: iscriversi alla Scuola Rurale di Ayotzinapa per diventare maestri elementari, anziché emigrare o affiliarsi ad un cartello e marciare, per tutelare i diritti di chi non aveva soldi né forze sufficienti per studiare.
Per questo il sindaco Abarca, cognato del leader del cartello Guerrero Unidos, ha deciso di toglierli di mezzo, avvalendosi della complicità di tre cruenti sicari, ma soprattutto del Capo della Sicurezza Municipale Flores Velazquez e di ventidue dei suoi poliziotti che hanno consegnato i manifestanti direttamente nelle mani dei criminali. Ed è questa implicazione delle forze dell’ordine, non solo conniventi, ma addirittura parti attive nel massacro, che ha fatto coniare ai giornalisti messicani l’agghiacciante appellativo di narcopolicia e che ha costretto Angel Aguirre, Governatore dello Stato di Guerrero a dare le dimissioni lo scorso 23 ottobre.
Sornione come sempre è invece rimasto il Presidente Enrique Peña Nieto che, indifferente alle minacce di Parlamento e Commissione Europea di tagliare gli accordi di cooperazione col Messico e ai richiami delle Nazioni Unite per far luce sulla vicenda, ha preferito lanciare la nuova campagna mediatica “Fai un selfie con il Presidente” (#SelfieconEPN), in cui affabile come un attore di telenovelas abbraccia attempate ostetriche e giovani esponenti dell’imprenditoria cittadina…per la serie: Ayotzinapa è il Messico miserabile, opaco e meticcio del narcotraffico e delle gatte da pelare, da nascondere in fondo al cesto della biancheria sporca, anzi, da buttare perché è talmente sporco che lavarlo costerebbe troppa fatica.
E il Presidente ha proprio ragione: Ayotzinapa è un altro Messico, lontano dalle spiagge immacolate e dai college con il chiostro in stile coloniale. Ayotzinapa è il Messico delle strade polverose, dei Presidenti che preferiscono uscire tra la gente che non sulle riviste, degli studenti che camminano 8 km al giorno per ricevere un’istruzione elementare, è il Messico che anche se finisce in tv solo per i casi di cronaca nera non si arrende e lotta, la schiena curva sui campi, conscio che la crociata contro il narcotraffico prima ancora che nelle procure si combatte sui banchi di scuola.
È il Messico che più ci fa male, ma anche quello che ci rende più orgogliosi, perché ci ricorda che costi quel costi, lottare per migliorare le cose si può e si deve!
Ayotzinapa è il Messico da non dimenticare…