Vista l’attenzione che Prodigio da sempre pone nei confronti del territorio e delle istanze sociali che da esso derivano, la Redazione ha deciso di avviare una rubrica dedicata alle storie dei migranti, al fine di favorire la conoscenza reciproca come mezzo per promuovere la tolleranza e l’inclusione nella comunità.
I primi intervistati, ospiti della Residenza Oltre Fersina di Trento sono il maliano Kamate S. e il guineano Moussa K. Entrambi provenienti dall’Africa subsahariana, hanno rispettivamente ventuno e ventiquattro anni.
1. Come sei arrivato in Italia?
K.S.: Sono partito da Koumantou, la mia città natale in Mali, nel 2014. Tutta la mia famiglia vive lì, a esclusione di uno zio emigrato in America e di mio fratello grande, che fa il soldato, ed è morto qualche giorno fa. Dopo il Mali, ho lavorato un paio di mesi in Algeria, ma era molto difficile perché le persone non mi trattavano come un loro pari, vista la mia provenienza. Sono arrivato in Italia otto mesi fa, passando per la Libia. Sono sbarcato in Sicilia, da dove con un pullman mi hanno trasferito in Trentino, dove vivo da cinque mesi. Ho passato meno di un giorno sul barcone. Eravamo circa 125 persone e siamo stati tratti in salvo da dei marinai olandesi.
M.K.: Sono arrivato solo un mese fa. Volevo scappare dalla mia difficile situazione familiare.
2. Cosa facevi nel tuo Paese natale?
K.S.: Facevo il falegname, come mio padre e mio nonno prima di me. Inoltre, ho anche studiato un po’ di commercio, per vendere i nostri mobili. Questa professione è quella della mia famiglia da generazioni e mi ha permesso di trovare lavoro anche in Algeria. Spero proprio che riuscirò a esercitarla anche in Italia.
M.K.: Io sono orfano. Vivevo a Conakry, la capitale della Guinea, con mio zio. Lavoravo nel suo negozio di ricambi per auto, ma mi trattava molto male. Per questo sono scappato, non m’ importava dove, volevo solo andare via.
3. Come ti trovi in Trentino?
K.S.: Il Trentino è nel mio cuore, mi trovo bene, ma ho paura di fare delle brutte figure, perché non so come si comporta la gente di qui. Certo, qui al Centro mi aiutano tutti e cercano di spiegarmi. Per esempio il 20 giugno, in occasione della Giornata del rifugiato, abbiamo fatto uno spettacolo in Piazza Dante e mi hanno detto che sono portato per la recitazione, sono stato molto contento!
4. Qual è la differenza più grande tra il tuo Paese e l’Italia?
K.S.: Il saluto. In Mali si salutano tutti: la venditrice al mercato, il ragazzo che incontri per strada. Il saluto è il primo passo per diventare amici. Se non saluti, come fai a conoscere qualcuno? Bè, qui in Italia io saluto sempre, ma la gente fa fatica a rispondermi e io non riesco a capire come mai.
M.K.: La religione, il modo di vestire e di vivere. Qui la gente è libera di abbracciarsi per strada, da noi risulterebbe un po’ strano.
4. Qual è il tuo sogno?
K.S.: Vorrei diventare un bravo giocatore di basket. Scherzi a parte, vorrei instaurare delle vere e proprie relazioni con gli italiani. Come dice il proverbio “La relazione è più importante del diploma”.
M.K.: Vorrei lavorare in un negozio, ma il mio sogno immediato è che mi diano i documenti.