Brevi dalla ricerca, aprile 2004

Data: 01/04/04

Rivista: aprile 2004

Fertilità dopo la chemio
Una speranza di recuperare la fertilità dopo le cure per il cancro. È quella offerta da uno studio della Cornell University di New York, pubblicato su The Lancet. La chemioterapia e altre cure contro i tumori portano alla prematura menopausa e alla infertilità centinaia di migliaia di donne.
Gli scienziati statunitensi hanno sperimentato quindi una nuova metodologia: come primo passo, hanno estratto e congelato parte di tessuto di una delle ovaie da una donna di trent’anni, prima che iniziasse un trattamento di chemioterapia per un cancro al seno. Subito dopo le chemioterapie, i test hanno confermato che la donna era entrata in menopausa.
Sei anni dopo, a cura conclusa, i ricercatori le hanno ritrapiantato il tessuto delle ovaie e, per rivitalizzarlo, hanno somministrato alla paziente delle dosi di ormoni.
Dopo circa tre mesi di terapia, la donna ha notato un piccolo ingrossamento nella zona dove era stato ricollocato il tessuto.
Le successive verifiche hanno mostrato come le ovaie fossero tornate in funzione, con la produzione di estrogeni e lo sviluppo di follicoli. (giovedì 18 marzo)
Obesità: sta per diventare prima causa di morte negli usa
10/03/2004 – Ma l’amministrazione Bush taglia i fondi per campagna anti obesità.
Washington, 10 mar. (Ap) – Uno studio condotto dallo statunitense Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdcp) sostiene che se non si porrà rimedio presto l’obesità diverrà la prima causa di morte degli americani. In base al rapporto, nel 2000 sono morte 400.000 persone a causa dell’obesità e dell’inattività fisica, il 30 per cento in più rispetto a dieci anni prima. Nello stesso anno le vittime del fumo sono state 435.000, 9 per cento in più rispetto al 1990.
Clonazione. Cellule staminali da embrione
Un passo decisivo verso la clonazione terapeutica. L’hanno compiuto un gruppo di ricercatori dell’Università nazionale di Seul, in Corea del Sud, facendo sviluppare un embrione umano ottenuto per clonazione fino allo stadio di blastocisti, il momento dopo il quale le cellule cominciano a differenziarsi.
Gli esperimenti condotti finora non si erano mai spinti fino a questo punto, fermandosi al massimo allo stadio di sedici cellule.
Nell’esperimento condotto dai sudcoreani, le cellule sono invece quasi un centinaio, il limite massimo per un embrione cresciuto in provetta, oltre il quale è necessario il trasferimento in utero perché lo sviluppo prosegua.
Si tratta di cellule pluripotenti, che possono cioè differenziarsi in molti tipi di tessuto diversi, dalla pelle ai muscoli, dalle ossa ai neuroni. Di qui la possibilità di utilizzarle nella terapia di molte malattie, dal diabete al morbo di Parkinson all’osteoartrite, col vantaggio decisivo che, avendo le cellule il medesimo patrimonio genetico di quelle del paziente, non si verificherebbero reazioni di rigetto da parte del sistema immunitario.
Gli autori della ricerca, pubblicata su Science, hanno proceduto così: dopo aver prelevato 242 ovuli da 16 donne, ne hanno sostituito il nucleo con quello di cellule adulte ricavate dalla stessa persona.
Sono così riusciti a ottenere trenta embrioni, tra i quali uno solo è però riuscito a dare luogo a una linea cellulare di staminali embrionali.
Diabete Ptb, il guardiano dell’insulina
Una proteina che apre e chiude le porte della produzione di insulina. L’ha scoperta un gruppo di ricercatori dell’Università della tecnologia e del Max Planck Institute di Dresda e la ha chiamata Ptb. La sua azione si esplica a livello degli organelli presenti nelle cellule beta del pancreas, i depositi di insulina che, nei soggetti sani, la rilasciano al momento opportuno. Quando il glucosio presente nel sangue raggiunge il livello di guardia, infatti, scatta automaticamente la sintesi e il rilascio dell’insulina.
Cosa che non avviene nelle persone colpite da diabete. Perché ciò non avvenga è ancora in gran parte un mistero che questa scoperta, a cui hanno contribuito anche Barbara Borgonovo e Michele Solimena dell’Università degli Studi di Milano, potrebbe aiutare a chiarire.
Nei topi senza la Ptb infatti la produzione e il rilascio dell’insulina non avviene. La proteina potrebbe quindi essere la chiave per fare luce sul meccanismo difettoso che conduce al diabete.

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