Uno studio italiano sui ratti ha dimostrato che attraverso un ‘ponte’ di cellule nervose che bypassi la lesione del midollo spinale, è possibile reinnervare i muscoli paralizzati richiamando fibre nervose provenienti direttamente dal cervello. Lo studio si deve al gruppo da Giorgio Brunelli dell’ Università di Brescia: tre pazienti tra cui una donna, sono stati operati: i due uomini sono ancora in fase di rieducazione e la donna, paraplegica ora ‘sente’ la sua gamba (prima era come non l’avesse) ed e’ capace di muoverla”. Lo studio ha dimostrato una cosa fino a ieri impensabile: i muscoli periferici possono rispondere agli ordini del cervello dopo una lesione del midollo spinale senza la collaborazione dei neuroni del midollo. La tecnica utilizzata si riferisce a un intervento su ratti. I neurologi hanno collegato chirurgicamente, usando un segmento di nervo periferico, il nervo motore di un muscolo addominale con il midollo spinale nel punto in cui, per fare questa operazione, il midollo stesso e’ stato reciso. Normalmente non sarebbe dovuto succedere nulla ma nella sperimentazione di Brunelli è successo che questo ponte di cellule nervose, una volta innestato nell’ autostrada del midollo spinale vi ha aperto una nuova ‘corsia’, un nuovo canale diretto col cervello, richiamando fibre nervose dal motoneurone centrale. Sono queste fibre che hanno ristabilito il contatto, direttamente con quelle del muscolo, senza più utilizzare la vecchia corsia.
Scoperta per caso contro la depressione
L’idea di partenza risale agli anni Novanta quando si fece largo l’idea di inviare piccole scosse elettriche al cervello attraverso il nervo vago per tentare di ridurre la frequenza degli attacchi epilettici. Il Vagus Nerve Stimulator, un apparecchio grande come un orologio da tasca e impiantato sotto pelle alla base del collo, inizia ad essere utilizzato a partire dal 1997 ma senza suscitare troppo entusiasmo: gli attacchi epilettici si riducevano di poco. Per contro ed in modo inatteso, i malati apparivano più ottimisti, brillanti, con memoria vivace e spirito allegro. La Cyberonics, ditta produttrice dell’aggeggio, intuisce allora le reali potenzialità perfezionando un nuovo modello, già definito “pacemaker della felicità”, esclusivamente rivolto alla cura della depressione. Le prime sperimentazioni hanno dato risultati abbastanza positivi: il 23% dei pazienti colpiti da gravi forme di depressione ha fatto registrare un miglioramento “significativo”. Il 10% ha ottenuto risultati “straordinari” e il 43 % si è limitato a un “beneficio minimo o nullo”. Analizzati i risultati, gli esperti della Food and Drug Administration ne ha autorizzato l’uso con un limite ben preciso: prima di utilizzare lo stimolatore del nervo vago infatti un malato di depressione deve aver attraversato quattro cicli di terapie farmacologiche differenti, senza averne ricavato benefici. Il prodotto, senza effetti collaterali di rilievo, invia ogni 5 minuti stimoli elettrici della durata di trenta secondi.
Chi rischia è più felice
Chi ama molto rischiare è più soddisfatto della propria vita. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Università di Bonn e di Berlino. Dalla ricerca emerge che il rischio è uomo, giovane e alto, non impiegato in uffici pubblici ma lavoratore autonomo. Questo identikit prende forma non solo grazie alle migliaia di colloqui con il vasto campione coinvolto, ma anche dall’interpretazione dei risultati di numerosi esperimenti condotti con differenti gruppi di individui. Nei colloqui i partecipanti dovevano in primo luogo autostimare da uno a dieci la loro volontà di rischiare. In uno dei test, dovevano calarsi nei panni di un vincitore della lotteria e decidere se investire i 100 mila euro di vincita con pari rischio di raddoppiare il capitale investito in due anni o perderlo. Da questa prova è emerso che la donna non ama rischiare infatti è meno propensa a buttarsi in forti investimenti. Inoltre, indipendentemente dal sesso investono di più i giovani che gli anziani e per ogni centimetro di altezza in più la quota investita sale di 200 euro. Difficile dire però, ammettono gli studiosi, se venga prima il desiderio di rischiare o la soddisfazione personale per la propria vita: le persone più appagate potrebbero essere di conseguenza più ottimiste nei confronti della vita e, quindi, più inclini al rischio; o al contrario chi non ha paura di rischiare è una persona che ha coraggio e determinazione da vendere e che, quindi, ottiene dalla vita ciò che vuole. In conclusione, dunque, quando non si ha più il coraggio di «osare» e si gioca soltanto in difesa, si sta battendo ritirata dalla vita. Lo aveva espresso mirabilmente Pablo Neruda in una sua famosa poesia: «Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni…»