Bulli e pupe

Data: 01/02/06

Rivista: febbraio 2006

Spett.le redazione, vi invio questo articolo, scritto sul disagio giovanile, nella speranza di vederlo pubblicato sul vs. giornale. Mi piacerebbe partecipare con voi al concorso dell’associazione benedettad’intino.org circa quest tematica. Sono ancora pubblicista, e scrivo solo sul sociale. Grazie in anticipo per l’attenzione. Patrizia.

Sembra il titolo di un vecchio film, di un musical americano, eppure suona rimbombando nella testa, dopo le notizie del TG.

Fotogrammi di facce, con dentro occhi, che parlano, comunicano, esortano, chiedono.

Infanzia negata, non vissuta, violentata, traumatizzata, o semplicemente ignorata; quale destino si propone dietro tenere espressioni, lacrime e finti sorrisi, strafottenti modalità di approccio con il mondo adulto.

Tornare indietro, a volte si può.

Provare a fermare il tempo che incessante ci chiede il ‘dono’ dell’ubiquità..

Dalla ritrovata cultura della sana alimentazione, proviamo a pensare ‘al biologico’ dei sentimenti, quelli che visceralmente ritroviamo compressi in ognuno di noi, spostando l’obiettivo del giudizio più lontano.

I turbamenti trovano strade lontane, appaiono viaggi verso “il paese dei balocchi”, ma di quali balocchi si parli, lo si saprà solo quando il percorso diventa senza ritorno.

Amministrare sentimenti, rigore e protezione, sorrisi e negazioni, saggezza e serenità, è compito arduo.

È tempo di formazione al mestiere di genitore, un modo come un altro per fermarsi a pensare, ognuno con la propria storia, ognuno con le proprie competenze, e soprattutto con le proprie necessità.

Restituire il vissuto, risanare, supplire e compensare togliendosi dalla mente l’idea di elargire per sentirsi migliori.

I nostri ragazzi, piccolissimi e grandi, attendono noi, senza il giudizio per chi ha “commesso il danno”, ma con la sapiente capacità di ascolto, di analisi, di concreta vicinanza emotiva nell’esprimere “ci sono, ci siamo!”.

Una poesia, nata per ragazzi diversamente abili, parla di ragazzi senza la pelle, ma non si rivolge solo a quelli, ma a tutti coloro che hanno indossato una corazza, hanno abbracciato il ‘branco’, hanno adottato un altro vocabolario, lontano dalla comunicazione, sposando coattivamente pregiudizi ancora più grandi, riferimenti irraggiungibili, metafore di vita.

L’adolescenza periodo peggiore della vita, è troppo spesso sottovalutata, schernita, offesa nella sua millesimale delicatezza.

Provare a riformulare domande, approcci, nel desiderio che nasce, attraverso la volontà di sentire nel bimbo che cresce la persona, e nel dubbio amletico del essere o non essere, la certezza della mano tesa e disposta a schiarire il dubbio.

Sono i nostri figli, quelli degli altri, sono gli emarginati, quelli di diversa nazionalità, quelli malati, quelli che cambieranno le vedute del mondo, quelli che ritroveranno nei nostri ideali anche un po’ i loro.

Difficile percorso e faticosa responsabilità, certo, ma al di là dei ‘tuttologi’, l’espressione dell’amore non cambia significato, resta la sintesi e la risorsa per un’aspettativa di vita che guarda “oltre lo steccato” di pecorelle smarrite in cerca di pascoli dove nutrirsi.

precedente

successivo