La disciplina del calcio a sette, praticato da atleti cerebrolesi, fa la sua entrata ufficiale nei giochi paralimpici nel 1984. Le regole sono praticamente identiche a quelle del calcio dei normodotati, con le dovute eccezioni del caso. Si gioca con sette giocatori su un campo dalle dimensioni ridotte, il fuorigioco non esiste e le rimesse in campo per ovvie motivazioni possono essere effettuate con una sola mano.La partita è suddivisa in due tempi da trenta minuti.
Al torneo delle paralimpiadi di Londra del 2012 hanno partecipato 64 atleti. In Italia la disciplina è stata riconosciuta dalla Fispes “Federazione Italiana Sport Paralimpici Sperimentali” nel 2013, grazie alla tenacia e alla volontà di Simone Paiaro, attuale Ct dell’Italia. Per giocare in nazionale ci sono delle regole ben precise da rispettare. Possono giocare atleti nati con ipossia, cioè poco ossigeno o persone che hanno difficoltà cerebrali legate alle complicazioni durante il parto, oltre a calciatori che hanno subito traumi, incidenti, perdita di arti o lesioni al cervelletto a seguito di incidenti o infortuni.
Il grado di disabilità va dal livello 5 [Grave] fino al livello 8 [Meno Grave]. Solitamente chi ha un livello 5 a causa della ridotta possibilità di movimento, viene schierato in porta, mentre il 6 e l’8 vengono schierati o in difesa o in attacco, al 7 viene lasciato il centro campo.
Le restrizioni della disabilità fanno si che pochi atleti siano idonei a giocare in nazionale, questo non favorisce certo l’andamento positivo di un torneo. Il tecnico ha pochi giocatori a disposizione che come succede anche con i club di serie A sono sparsi per l’Italia e si ritrovano in nazionale solo 2 o 3 volte l’anno. La situazione migliora all’estero come in Iran e in Russia. In Russia ci sono molti più atleti e molte più strutture attrezzate. L’esempio più bello è quello dell’Irlanda del nord dove per ogni piccola società sportiva esiste il suo corrispettivo della squadra con ragazzi con disabilità.