Quando sull’autobus ho chiesto quale fosse la fermata più vicina alla “Casa del Sole”, due signore mi hanno dato le indicazioni sorridendo, con gentilezza. Interpretando questo come un segnale propizio, ho attraversato il cancello, rigorosamente spalancato, altro segnale positivo.
Ad accogliermi un bel parco, molto grande e con tante piante, come sono venuta a sapere in seguito curato dagli stessi “utenti”.
L’edificio, situato in via Menguzzato, nel quartiere Madonna Bianca, è grande, bianco e luminoso.
Un uomo fumava in tranquillità una sigaretta fuori dalla porta. Entrando mi ha accolto il rumore della palla del calcetto, un’accesa partita si stava svolgendo nell’ingresso reso più accogliente da un acquario e alcuni quadri colorati, anche questi opera degli utenti.
Rimasta spaesata (ma non c’è un vigilante, un infermiere o almeno un portiere?!) sulla destra ho visto una sala, tv, stereo, libri, divani e un grande tavolo da pranzo. Ho sentito lo sferragliare tipico della cucina, adiacente alla sala e un buon profumo, dopotutto erano passate da poco le 12.
Della Casa del Sole sapevo veramente poco, avevo letto che c’erano state polemiche sulla sua apertura, sapevo che qualcuno l’aveva paragonata a un manicomio e che c’erano state manifestazioni, non conoscevo molto altro sulla sua natura, su cosa succedesse al suo interno e sul reale aiuto che essa fornisce. E nella mia totale ignoranza ho parlato un po’ con Mattia Civico, il coordinatore, gli ho posto domande forse anche ingenue per soddisfare la mia curiosità.
La “Casa del Sole” è una struttura residenziale nata nel dicembre del 2001, gestita a parimerito dall’Azienda Sanitaria, dall’associazione Auto Mutuo Aiuto e dall’associazione La Panchina. Può accogliere fino a 13 ospiti, persone con problemi psichici importanti, spesso provenienti da lunghi periodi di ricovero in psichiatria. Nella Casa gli operatori lavorano per creare con gli ospiti una relazione affettivamente ricca, basata sull’amicalità e per creare un’atmosfera di condivisione reale, in cui anche gli utenti hanno il diritto (o dovere?) di dire ciò che pensano, di contribuire alle decisioni da prendere.
Nella costruzione di un clima positivo ha molta importanza il rapporto con il quartiere: alla Casa del Sole c’è un bar, un parco giochi, si organizzano feste per le più svariate occasioni. Ma anche e soprattutto familiari e volontari influiscono in modo significativo sull’aria che si respira; proprio un volontario de La Panchina, solo uno e non un professionista, trascorre la notte alla Casa e spesso non deve fare altro che fornire un po’ di compagnia a chi magari non riesce a dormire, fare due chiacchiere.
Le persone che ci vivono hanno ampia scelta, sempre di propria volontà e proprio come in una casa vera gli inquilini possono uscire quando desiderano, senza chiedere il permesso a nessuno, ma proprio come in una casa vera tornano sempre; per trascorrere le ore se hanno voglia possono curare il giardino, cucinare, dipingere, guardare la tv… Inoltre si tengono vari corsi, fra cui uno di giornalismo: a febbraio è uscito il numero zero di “Liberalamente”, un bimestrale nato dalla voglia di dare parola proprio agli “utenti”, di fornire a coloro che hanno tanta sofferenza e disagio una via di comunicazione.
Se prima di andare ero quasi intimorita, non sapevo cosa aspettarmi, durante la mia visita ho capito che forse la parola “matto” non significa poi nulla, alla Casa del Sole vivono persone che hanno avuto esperienze dolorose, momenti difficili da superare, ma l’approccio con cui qui vengono affrontati i problemi, questo mettersi sempre tutti (“utenti”, operatori, familiari) sullo stesso piano dà i suoi risultati concreti nella riabilitazione: gli stessi che avevano trascorso gran parte dell’anno in psichiatria, durante il soggiorno alla Casa non sono più stati ricoverati.
Tutti i dubbi e le perplessità che potevo avere sono scomparse, la conclusione che posso trarre è solo una: questa casa tutto può essere tranne un manicomio.