«C’è chi sta peggio di me»

Data: 01/10/00

Rivista: ottobre 2000

Suono il campanello ed entro in ascensore. Mentre sale penso che sono lì per un’intervista, ma non ho preparato nessuna domanda. Forse non è molto professionale, ma non mi piacciono le cose preconfezionate. Entro senza bussare da quella porta tanto familiare. Roby è di schiena. Sulla carrozzina, capello riccio e lungo, mi ricorda l’amico di Forrest Gump. Si gira e mi saluta e di lì a poco inquadro sua madre sulla poltrona con una gamba sollevata.

Zia, che hai fatto?

Tasi, ero lì che corevo a ciapàr l’autobus e ho sentì crac. Stamatina son nada al Pronto Socorso e i m’ha dit de star a riposo che sarà n’artrite.

Beh, ve fe compagnia.

Mi siedo e comincio l’intervista con Roby, calzino rigorosamente bianco e sandaletto da montagna con i velcri aperti. Provo a formulare la prima domanda.

Cosa ti è passato per la testa quel 19 luglio alle 18:40 in tangenziale, quando ti sei sentito travolgere sullo scooter?

È come se chiedessi ad un moscerino che cosa gli passa per la testa quando si schianta contro un vetro. Niente, rotoli e senti male. Non realizzi niente finché non fai due più due, finché non colleghi: urto più botto più dolore, allora pensi “incidente”, pensi (se sei lucido) a metterti in piedi alla svelta e a spostarti dalla strada che non ti investa qualcuno, salvo poi scoprire che le gambe non ti reggono e le caviglie sono come delle spugne. La prima reazione è razionale, lucida, togli il casco e dici “ci sono, sono vivo”. Poi ti metti ad urlare.

Che aiuto hai avuto dai presenti?

Mi ricordo di uno che chiamava l’ambulanza e di uno che mi reggeva la gamba sanguinante così (si prende la gamba destra, reduce da un mese di gesso e segnata dalle cicatrici, e la solleva dalla sedia a cui è appoggiata). Quello che mi aveva urtato mi stava dicendo che era colpa mia e brontolava, quindi non l’ho più ascoltato. Poi c’era gente che mi incoraggiava, ma in quei momenti non li ascolti perché ne hai abbastanza del dolore che senti. Al momento dell’incidente l’aiuto non manca, ma adesso mancano i testimoni.

C’è clima di omertà?

Sì, la gente ha paura di finire in rogne. Fa spettacolo l’incidente, ma al momento di rilasciare dichiarazioni si tirano tutti indietro. C’è chi non ha visto bene, chi è arrivato dopo, chi non è sicuro… Comunque, fortunatamente, posso definirmi un disabile a tempo determinato. Ho avuto una frattura al malleolo della gamba sinistra ed una frattura esposta in più punti all’astragalo della gamba destra, ovvero all’osso su cui poggiano tibia e perone. Domani comincio la riabilitazione della sinistra, per la destra devo aspettare un altro mese e non so ancora per quanto ne avrò. Non mi passa più.

Che cosa ti pesa di più?

Il fatto di pesare sugli altri, di dover dipendere dagli altri. E poi le cose più semplici da fare diventano le più incasinate. Comunque sono stato fortunato perché ho salvato la schiena, sennò non so cosa avrei fatto. Mi sarei sparato? Avrei pianto all’infinito? Avrei accettato la cosa? Boh. Penso che con il tempo avrei imparato ad accettarlo e forse avrei dimenticato il fatto di non poter più camminare, cercando di vivere normalmente. Adesso, nonostante la carrozzella riesco ad andare al bagno, uscire da solo, prendere l’ascensore, scendere in strada; qualche volta mi arriva anche qualche porta in faccia, ma pazienza. Almeno la casa non diventa una prigione.

La zia si alza e si trascina, zompettando goffamente verso la cucina. È stato lo zainetto a proteggerti la schiena?

Solo in minima parte, è stato un caso che non sia caduto diversamente, magari sul collo spaccandomi la schiena. Ammiro chi affronta la propria condizione di disabile senza lasciarsi andare, con spirito di iniziativa. Ne vedi uno da solo per strada e pensi “bravo” perché va in giro da solo, cerca di emanciparsi, ma devi pensare che ha anche dei disagi. A stare sulla carrozzella hai piaghe, prurito, sudore fastidioso. Poi devi mettere da parte il senso di pudicizia nei confronti di chi ti aiuta a lavarti e restare pulito, altrimenti diventi un handicappone, come i miei due compagni di stanza in ospedale, che si vergognavano delle infermiere. – Roby giocherella nervosamente con la cinghia dell’orologio – Bisogna pensare che chi vive una situazione così deve avere la pazienza di sopportare torture come pastiglie, anticoagulanti, punture, fisioterapie.

Domani inizi la fisioterapia. Per quanto ne avrai?

Non lo so. Prende la lettera dell’ospedale e legge, “può iniziare a caricare progressivamente con la sinistra”. Fra un mese con la destra.

Come si comporta la gente di fronte ad un ragazzo in carrozzina?

Beh, di sicuro attiri gli sguardi. I bambini poi si piazzano davanti con gli occhi sgranati e ti fanno un sacco di domande. Il piccolo Edoardo di tre anni continua a farsi raccontare del mio incidente dalla nonna e questo lo affascina più delle favole. Quando l’ho saputo ci sono rimasto male. Come se sapesse che i sette nani non esistono e gli incidenti sì. Crescono sapendo perfettamente che cosa può succedere e cosa no, e la realtà li incuriosisce di più.

I rapporti con i famigliari e la tua ragazza sono stati messi alla prova?

La mia prima preoccupazione è stata la reazione di spavento che si sarebbero presi tutti alla notizia dell’incidente. Poi mi è dispiaciuto che gli altri soffrissero per me. Ho condizionato e fatto cambiare i programmi a diverse persone. La Francy ha dovuto stare a casa dal lavoro. E poi è capitato tutto in un periodo fuori luogo, con il matrimonio in vista, i lavori da fare, tutto da preparare. Comunque si sono risolte molte cose con l’aiuto di tutti, perché la gente capisce la situazione e ti da una mano. La Francy purtroppo sta portando in giro le bomboniere da sola perché per me è una faticaccia. Quando si scusa perché non posso esserci, la gente dice «Ma scherzi, ci mancherebbe altro. L’importante è che si rimetta in sesto».

A questo punto lascio a Roby l’ultima domanda, alla Gigi Marzullo.

Che domanda vorresti farti?

Vediamo… se potessi cambieresti il tuo destino? Ovvero, se avessi saputo che andavi incontro ad un incidente, avresti cambiato programmi per quel giorno? Insomma, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Beh, è mezzo pieno, non cambierei niente, perché tutto sommato mi è andata bene. Lo spavento che ho preso mi ha fatto apprezzare il valore della vita. Al diavolo moto, soldi, colpe. In questi casi mandi tutto a quel paese e ti convinci proprio che bisogna star contenti quando si è sani, invece si è sempre insoddisfatti. Mi viene in mente una frase che ho letto ai tempi della scuola «Se sei triste e hai voglia di morire pensa a chi sta morendo e vorrebbe vivere». A volte ci si permette di buttar via la propria vita quando c’è un mare di gente che conta disperatamente i giorni che mancano alla fine.

Roby gira l’orologio e si morsica le labbra guardando lontano pensieroso.

precedente

successivo