Che 2023 sarà per Women Enabled International?

Lo abbiamo chiesto alla direttrice esecutiva Maryangel Garcia-Ramos Guadiana

Maryangel Garcia-Ramos Guadiana, messicana, 36 anni – una laurea in design, un master alla Egade Business School e studi in materia di diritti umani, genere e comunicazione – da qualche mese è la nuova direttrice esecutiva di Women Enabled International (WEI). WEI è un network internazionale fondato nel 2012 per contrastare la doppia discriminazione – di genere e di condizione – che si trovano ad affrontare le donne con disabilità nel mondo. Già fondatrice della rete “Mexicanas con Discapacidad” (Messicane con disabilità), responsabile dell’Ufficio Diversità e Inclusione del Politecnico di Monterrey e presidente del Consiglio delle Persone con Disabilità dello Stato di Nuevo León, Maryangel Garcia-Ramos ha una missione di vita e di carriera: cambiare la narrativa e la cultura dell’inclusione.

Maryangel, perché hai deciso di entrare a far parte di Women Enabled International? 

Ad oggi, WEI è l’unica organizzazione che lavora con un approccio globale sui diritti umani delle donne e delle bambine con disabilità. La nostra collaborazione è nata tempo fa, quando assieme a “Mexicanas con Discapacidad”, abbiamo contribuito a scrivere due report per le Nazioni Unite sulla situazione delle donne con disabilità nel mio Paese. Quando, nell’ottobre scorso, sono stata nominata direttrice del network, mi sono sentita onorata, perché si tratta di una rete prestigiosa e ben organizzata che può davvero accelerare il cambiamento sociale che cerchiamo.

Come funziona la rete? 

WEI è un’organizzazione non governativa, perciò lavoriamo direttamente con collettivi e associazioni di bambine, donne e persone non binarie in tutto il mondo. Ci concentriamo in particolare sul tema del rispetto dei diritti umani.

Cosa significa essere una donna con disabilità? Quali sono le sfide che devi affrontare ogni giorno?

Direi vivere in un sistema “abilista”, in cui le persone con disabilità non sono viste come parte del disegno né del processo decisionale. Essere una donna in carrozzina in Messico significa affrontare una doppia discriminazione ed essere esposta alla violenza – in particolare alla violenza sessuale – otto-dieci volte di più rispetto a una donna normodotata. Insomma, in breve il problema è non avere accesso ai diritti nella vita quotidiana.

Ci hai raccontato il punto di vista messicano. Com’è la situazione nel resto del mondo? 

Noi donne con disabilità siamo le sorelle dimenticate del femminismo, la pagina mancante nelle strategie per l’uguaglianza di genere. E invece per trovare dei correttivi efficaci alle storture del sistema, gli Stati dovrebbero partire proprio dalla nostra specificità di donne. Solo così potremmo essere veramente protette e supportate. Sicuramente queste mancanze sono più evidenti nel sud del mondo, ma purtroppo neanche l’Europa è un’oasi felice. I dati, infatti, ci dicono che otto donne con disabilità su dieci vivono una situazione di violenza. Fisica o sessuale, ma anche psicologica, economica, lavorativa…

Quali sono i propositi di WEI per il 2023? Su cosa vi concentrerete? 

Il prossimo anno entreremo in un processo di pianificazione strategica quinquennale. Ci focalizzeremo soprattutto sulla creazione di linee guida per l’implementazione delle capacità di leadership e il rafforzamento dei movimenti incentrati sui temi del genere e della disabilità. La nostra piattaforma è e continuerà ad essere il megafono con cui le bambine e le donne con disabilità possono amplificare la loro voce.

In tutta l’intervista, non hai mai parlato di “donne con disabilità”, preferendo l’espressione “donne e bambine” … 

Sì, perché i miei sogni – e il mio impegno – vanno in un’unica direzione: che le bambine con disabilità che nascono oggi possano essere libere di esistere. Mi piacerebbe che il sistema sociale e i suoi meccanismi le facessero sentire abbastanza sicure da potersi permettere di pensare in grande su che cosa vogliono fare della loro vita. Affinché la loro vita non ruoti intorno alla loro condizione di disabilità. Vorrei che sapessero che la loro voce è importante. E che non sono – non siamo – sole.

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