Sfogliando un quotidiano può capitare di lasciarsi guidare più dalle immagini e dai titoli altisonanti che dall’effettivo interesse. In genere il titolo di un articolo dovrebbe fungere da “biglietto da visita” della notizia, anticiparne l’essenza lasciando però al lettore una certa curiosità. Non sempre è così.
Talvolta il titolo ha la sola funzione di attirare l’attenzione a prescindere dall’articolo con il risultato di travisarne il contenuto.
Questa è la prassi nella stampa scandalistica ma non è del tutto assente dai quotidiani che devono fare i conti ogni giorno con l’immancabile concorrenza (peraltro indice di sana democrazia).
Proprio in questi giorni il presidente dell’associazione Prodigio, Pino Melchionna, ha avuto una piccola disavventura nella stampa locale “Il Centro Servizi Volontariato – dice Pino – tramite l’addetta all’ufficio stampa Giorgia Salomon, mi ha di recente proposto un’intervista da pubblicare sul Trentino nello spazio dedicato al volontariato. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata in cui sono stati toccati vari aspetti della mia vita dopo l’incidente stradale che mi ha costretto sulla carrozzina: dal mio periodo in ospedale al difficile percorso di autoaccettazione, delle mie battaglie nel campo del superamento delle barriere psicologiche e dei vari aneddoti più o meno spiacevoli che costellano la vita di una persona disabile”.
Pino a questo proposito racconta di quella volta che in un ufficio pubblico l’impiegata si è rivolta al suo accompagnatore anziché al diretto interessato.
Dalla chiacchierata con Pino ha preso forma l’ articolo apparso sul Trentino lo scorso 9 luglio (che riportiamo nel riquadro a fianco). Si tratta di un pezzo sobrio, forse non molto incisivo la cui autrice Giorgia Salomon ha avuto la cortesia di far visionare a Pino prima che andasse in stampa. “Ho apprezzato molto questo gesto da parte dell’addetta all’ufficio stampa del Centro Servizi Volontariato, generalmente i giornali mandano l’articolo in stampa senza che il diretto interessato possa visionarlo prima.”
La sorpresa per Pino Melchionna c’è stata la mattina del 9 luglio sfogliando il Trentino. Sapeva già di trovare la sua intervista nello spazio dedicato al volontariato ma non sapeva ancora quale fosse il titolo del pezzo, ossia “Odio gli sguardi morbosi”. Questa frase, non essendo mai stata pronunciata dal nostro presidente, è forse riconducibile ad una delle sue testimonianze riguardanti i primi tempi dopo l’incidente: “Mi dava fastidio sentire gli occhi delle persone puntati addosso ma non ho mai provato odio per questo. La parola Odio non fa parte della mia cultura e del mio modo di essere e chi mi conosce è rimasto sorpreso quanto me di quel titolo virgolettato che sembra voler citare una mia frase”.
Abbiamo voluto raccontare questo episodio come esempio della difficoltà di fare informazione tenendo conto della sensibilità delle persone.
da il Trentino, 9 luglio 2003, pag. 20
Giuseppe Melchionna da 24 anni vive su una sedia a rotelle a causa di un incidente stradale di cui è rimasto vittima quando era poco più che ventenne. Un’esistenza da reinventare nella lotta contro i propri limiti e contro quelli che la società impone. “È stato difficile soprattutto all’inizio. Tre anni di ospedale, di cui uno passato in rianimazione a Verona, e gli altri avanti e indietro da Imola per la riabilitazione. Poi ti accorgi di dover far fronte a tutta una serie di cambiamenti profondi”.
Il primo passo che Giuseppe ha dovuto compiere è stato quello di farsi accettare: “Oggi c’è la tendenza a far passare, come carta vincente, l’omologazione e di fronte a stereotipi come quello della prestanza fisica non è facile trovare il giusto equilibrio. Ci sono statistiche che parlano di 4-5 anni di tempo che mediamente impiegano i disabili ad accettarsi nella nuova dimensione. Si tratta quindi di accettare sé stessi per farsi accettare dagli altri”. Nel frattempo però sorgono problemi di tipo pratico che nella loro quotidianità appaiono insormontabili: “Cambiare casa e strutturare il nuovo appartamento secondo le mie esigenze, dover far fronte a tutta una serie di problematiche che ti condizionano nei movimenti più naturali dal trasporto in città agli spostamenti in casa”.
Giuseppe nel suo racconto insiste sul valore dei rapporti interpersonali che sembrano la parte più difficile da affrontare. L’impegno ad abbattere le barriere culturali lo fa sussultare, in questo trova la forza di lottare e non lasciarsi andare. I pregiudizi di alcune persone che guardano la diversità con paura e diffidenza lo infastidiscono: “Non riesco ancora ad abituarmi ad essere osservato con morbosità o addirittura a non essere considerato affatto. Mi è capitato allo sportello informazioni di un ufficio che l’incaricato non si è rivolto a me, ma al mio accompagnatore. Non riesco ancora a digerirlo”.
Infatti, Giuseppe coordina il gruppo disabili dell’ufficio catechistico della diocesi di Trento e nel 1999 ha fondato l’associazione Prodigio che si interessa di disagio sociale. Questo impegno è stato per lui una grande sfida che gli ha dato modo di confrontarsi con i servizi offerti al disabile dalle istituzioni trentine: “Nulla da dire sul servizio pubblico ma a volte quando sei costretto a cambiare i tuoi ritmi di vita, viene fuori una certa rigidità”.