Chi guadagna davvero?

Data: 01/05/00

Rivista: maggio 2000

Dove vanno a finire i fondi raccolti con il telemarketing a favore delle associazioni?

Nell’ultimo decennio si è assistito nella nostra provincia, come nel resto d’Italia, ad un’incessante quanto sistematica richiesta telefonica di denaro pro associazioni a tutela di soggetti deboli.

Tutta la popolazione veniva contattata telefonicamente e taluno veniva subissato di richieste anche svariate volte al giorno.

Si presentavano a nome di associazioni o enti dai nomi altisonanti – come U.N.I.C.E.F., Associazione Mutilati e Invalidi Civili, Sordomuti, Parkinson, Famiglie contro il cancro, Donatori midollo osseo, Privi della vista, Speranza e solidarietà A.I.D.S. e l’elenco continua – molte delle quali hanno sede locale.

Questo fenomeno ha trovato terreno fertile nella proverbiale solidarietà della gente trentina.

A questo punto tutti voi vi sarete riconosciuti come parte di questo meccanismo, avendo contribuito con offerte o con l’acquisto di biglietti teatrali, e quanto meno come oggetti di centinaia di pressanti telefonate. E sempre vi sarete chiesti che fine faceva il vostro denaro: un dubbio talora angoscioso, stimolato dalle notizie sui giornali e radio di truffe o dalle varie smentite delle stesse associazioni tirate in causa. Ultimamente c’è stata un’indagine giudiziaria con relative condanne che hanno avuto ampio risalto sulla stampa locale.
Ora finalmente siamo in grado di informarvi tramite le rivelazioni dettagliate e documentate di chi ha lavorato con la ditta condannata per oltre un lustro.

Fiutato il business da eventi come Telethon e simili, alcune persone si sono costituite in impresa. Si crearono realtà denominate Organizzazione spettacoli ditta tal dei tali. Il direttore o il responsabile della stessa si presentavano alle varie associazioni citate proponendosi di organizzare uno spettacolo o più, a cadenza semestrale, per la raccolta di fondi per beneficenza a favore dell’associazione stessa. In caso di accordo veniva redatto il contratto, in cui si dichiarava che l’associazione autorizzava con delega legale la ditta ad usarne il marchio e il logo per la prevendita di biglietti per lo spettacolo teatrale.

Il contratto definiva anche la parte economica, che era standard, sui 4-5 milioni. In sostanza la ditta diceva che si sarebbero venduti solo un numero approssimativo di 500 biglietti, poiché tale era la capienza del teatro, a 30-35 mila lire l’uno, per un incasso sui 15 milioni, a cui andavano detratte le spese per la prevendita dei biglietti e l’organizzazione stessa dello spettacolo. Le associazioni in buona fede non investigavano più di tanto su queste cifre, il contratto veniva firmato e così tutto diventava perfettamente legale.

Con il contratto sottoscritto la ditta affittava un locale eleggendolo a ufficio propaganda per Trento e provincia. Dava quindi incarico alla tipografia di stampare biglietti, buste e ricevute intestate all’associazione. Chiedevano inoltre l’allacciamento di svariate linee telefoniche alla Telecom e infine, tramite inserzioni sui media, reclutavano personale, preferibilmente “in nero”.

A personale, prevalentemente femminile, venivano affidati la mansione di telefoniste e un indirizzario di tutti coloro che in passato, almeno una volta, avevano contribuito a iniziative sociali. Le ragazze quindi contattavano telefonicamente questi “interessati”, dicendo di fare parte dell’associazione medesima e chiedendo l’acquisto di biglietti per lo spettacolo teatrale, o quantunque, in alternativa, di dare un’offerta libera.
Qualora fosse stato concordato l’acquisto del biglietto o la donazione, all’indomani passava a domicilio il personale, prevalentemente maschile, così detto “l’incaricato”, a consegnare i relativi biglietti e ricevute e a raccogliere il denaro. Tutta la provincia veniva contattata e nel volgere di due-tre mesi il lavoro era terminato.

Facciamo allora due conti: si raccoglievano mediamente 250/300 milioni, tra biglietti e offerte, a seconda della risonanza tra la gente dell’associazione; di questa somma, un 10% andava alle ragazze telefoniste e altrettanto agli incaricati-fattorini, per un insieme di 30 milioni; 5 milioni poi all’associazione, come predetto, e infine una decina di milioni in spese per la serata al cinema, usualmente al lunedì, così si risparmiava, e qualcosa allo sconosciuto artista per la serata; siamo così arrivati alla cifra di 45 milioni.

Considerato che, come abbiamo visto, si raccoglievano al minimo 150 milioni, la ditta guadagnava oltre 100 milioni alla volta.

A prescindere dalla somma finale, all’associazione arrivava comunque meno del 10% di quanto la gente aveva dato.

Lasciamo alla sensibilità del lettore le personali considerazioni.

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