Ciò di cui non si può parlare si deve tacere

Autori:Sara Caon

Data: 01/02/15

Rivista: febbraio 2015

Non vi è mai capitato di trovarvi in una situazione così paradossale e fuori del mondo, così strana e al contempo meravigliosa, perfetta, delicata e certa – come il fatto che in questo momento state respirando – da farvi rimanere muti, incapaci di parlare perché incapaci di trovare le parole “giuste” ed addirittura di pensare? A me è capitato proprio l’altro giorno, in una giornata talmente scontata e banale, brutta ai livelli più infimi, che mi ha portato dritta al supermercato per cercare qualcosa di dolce e stuzzicante per il palato in modo da risollevarmi. Beh, ero al banco delle verdure, proprio vicino alle cipolle viola, le mie preferite, quando mi sono sentita osservata insistentemente.

Infastidita, pensavo: «Ecco l’ennesimo seccatore!» ed invece, alzando gli occhi per un attimo, mi ritrovo a guardare un ragazzo, lui davanti alle cipolle bianche, che mi scruta con il più bel sorriso – tutto denti, labbra all’insù, una fossetta su ogni guancia e pure una fossetta sul mento – che io abbia mai visto sulla faccia di un uomo. Non vi nascondo che ho subito pensato che mi avesse scambiato per un’altra, eppure era così contagioso e talmente naturale che gli ho sorriso anch’io..ho fatto del mio meglio, ma di sicuro il mio non eguagliava il suo. Saranno passati dieci secondi, venti? e poi mi sono riscossa.

Certo non potevamo stare tutto il giorno lì a fissarci sorridendo inebetiti. Così me la sono data a gambe. Alla cassa lo ritrovo, nella fila accanto alla mia. E per la seconda volta, io che lo guardavo di sottecchi imbarazzata, lui del tutto tranquillo, i nostri sguardi si sono incrociati al di sopra dei panettoni in sconto e lui mi ha regalato un altro sorrisone, al quale ovviamente non potevo rimanere impassibile. Inutile dirvi che non sono manco riuscita a spiccicar parola. Era un momento talmente bello che non si poteva rovinare con le parole. Così, quando è arrivato il mio turno alla cassa, ho pagato e me ne sono andata senza voltarmi indietro, senza aspettarlo per magari dirgli qualcosa (ma cosa?), senza fare… niente. Ho taciuto. E per tutta la strada di ritorno a casa avevo uno sciocco, inebetito, assurdo sorriso stampato in faccia. Le mie labbra in qualche modo si rifiutavano di rispondere ai miei comandi mentali e per tutta la sera sono rimaste lì dove si trovavano, all’insù.

 

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