Rio de Janeiro, anni sessanta. Nella zona Ovest della città è situato un quartiere popolare chiamato Cidade de Deus, impregnato di povertà, disoccupazione e criminalità.
Tratto dal romanzo omonimo di Paulo Lins, il film si caratterizza come un “gangster/crime movie” che strizza l’occhio più alla “spettacolarità” delle vicende che al realismo delle stesse.
Da questo punto di vista il regista brasiliano, Fernando Meirelles, confeziona un prodotto perfetto per essere “esportato”, tanto da meritarsi quattro nomination agli Oscar nel 2003. La storia è molto semplice: Buscapè e Dadinho (in “arte” Zè Pequeno) sono due dei tanti ragazzini che affollano la Città di Dio, ma nutrono ambizioni diametralmente opposte. Il primo desidera costruirsi una vita al di fuori della “favela” e diventare fotografo, mentre il secondo intende diventare il bandito più potente e temuto del quartiere. Due esempi radicalmente opposti che sintetizzano con efficacia la situazione di un gran numero di adolescenti alle prese con le problematiche di una realtà difficile come quella delle favelas: precarie condizioni igienico – sanitarie, basso livello di educazione e scolarizzazione, assenza di lavoro, di politiche di sviluppo ed innovazione sono solo alcune delle condizioni che spingono i ragazzini, ancora giovanissimi, a vivere di espedienti e a cercare realizzazione nel mondo della criminalità, dapprima trovando impiego come corrieri e spacciatori fino a diventare, ancora adolescenti, dei veri e propri “boss” pronti ad uccidere per un metro di territorio. Sono diverse le storie di vita che si intrecciano in questa pellicola, tutte introdotte ed accompagnate dalla narrazione esterna di Buscapè: quest’ultimo rappresenta uno di quei pochi che riuscirà a ritagliarsi un futuro nella “legalità” mentre gli altri esempi, come si può intuire, non conosceranno lieto fine. Meirelles dirige sapientemente, oltre a quelle di Buscapè e Dadinho, diverse altre vicende legate a personaggi “secondari”, tenendo ben saldo l’obiettivo sui “malandros”, ossia queste bande di giovanissimi che imperversano senza regole nella favela; o meglio, rispondono ad una sola legge, quella del più forte.
Lo spettatore viene reso partecipe di una spirale di violenza che a tratti colpisce duramente sia visivamente che psicologicamente e il linguaggio di strada, il degrado delle ambientazioni e lo stile moderno delle riprese sono un contorno perfetto per tentare di trasmettere la precarietà e la durezza della vita in queste situazioni. Ulteriore credibilità all’insieme è conferita dagli attori, la maggior parte non “professionisti”, ai quali spetta una menzione particolare per l’efficacia generale delle loro interpretazioni. In conclusione, la pellicola di Fernando Meirelles, datata 2001, regala un paio d’ore di sano intrattenimento, sfiorando tematiche assai delicate tra le quali, soprattutto, quella legata alla sopravvivenza delle giovani generazioni nei sobborghi di Rio de Janeiro; senza avere la pretesa di porsi come un film di “denuncia”, prende spunto da una questione sociale così densa di problematiche per raccontare tante “piccole” storie in chiave prettamente cinematografica, rendendo fruibile la visione ad un vasto pubblico, senza per questo strumentalizzare né sminuire la dura realtà degli abitanti della Città di Dio. A fare da icona del film vi è sicuramente la sequenza finale, una tra le tante meritevoli di citazione, dove un gruppo di bambini (appartenuti alla banda di Zè Pequeno) passeggia in tutta tranquillità, armi alla mano, per le strade della favela chiacchierando tra loro… L’argomento? La lista dei “rivali” da eliminare.