Combattere la povertà significa costruire la pace

Data: 01/06/09

Rivista: giugno 2009

Nel mese di marzo ho avuto la possibilità di andare a Roma con altri ragazzi di servizio civile per un’udienza dal Papa Benedetto XVI. Era la prima volta che mi recavo nella “città eterna” e quindi fui doppiamente felice di questa opportunità. Sabato 28 ore 00:00: partenza con il pullman da Piazzale San Severino; ore 02:00: ancora tutti svegli a chiacchierare e fare conoscenza; ore 03:30: silenzio assoluto e “coma” generale (a parte i due autisti per fortuna). Dopo aver attraversato ben 6 regioni, siamo finalmente giunti intorno alle ore 08:00 nella “città degli eroi”, precisamente a Piazza San Pietro dove avevamo un parcheggio riservato. Dopo una ventina di minuti di pausa per cercare di riacquistare la cognizione del tempo e dello spazio e per ammirare il panorama, ci siamo recati in Sala Nervi che si trova proprio a fianco della Basilica. Fortunatamente c’erano ancora poche persone e abbiamo trovato un posto abbastanza vicino al palco; solo una mezz’oretta dopo la sala era popolata da ben 11.000 giovani provenienti da tutta Italia.

Degli ex volontari hanno allietato con dei canti l’evento, e hanno appositamente creato una canzone che rappresenta lo spirito del servizio civile dal titolo “Libera le mani”: un inno alla pace e una considerazione sul fatto che per aiutare le persone e dare un senso alla propria vita non serve andare tanto lontano perché persino nella nostra società c’è molto bisogno di aiuto, anche se spesso lo ignoriamo o facciamo finta di non vedere i problemi.

L’emozione all’arrivo del Papa è stata grande in particolare nel contesto in cui si è svolto: lo sventolare delle sciarpe bianche dateci per l’occasione, i canti e le grida di tanti giovani che inneggiavano a Benedetto XVI misto alla felicità personale di essere là.

L’intervento del Papa è stato fondato sul concetto della non violenza e sul fatto che noi ragazzi di servizio civile dobbiamo essere testimoni della pace non solo per quest’anno di servizio ma per tutta la vita.

Ecco qui di seguito le parole del Papa… Cari giovani! Benvenuti e grazie per questa vostra gradita visita. Per me è sempre una gioia incontrare i giovani; in questo caso, sono ancor più contento perché voi siete volontari del servizio civile. Prima, però, desidero salutare il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il senatore Carlo Giovanardi, che ha promosso questo incontro a nome del Governo italiano, ringraziandolo anche per le sue gentili parole. Come pure saluto le altre Autorità presenti. Cari amici, che cosa può dire il Papa a giovani impegnati nel servizio civile nazionale? Innanzitutto, può congratularsi per l’entusiasmo che vi anima e per la generosità con cui portate a compimento questa vostra missione di pace. Permettete poi che vi proponga una riflessione che, potrei dire, vi riguarda in modo più diretto, una riflessione tratta dalla Costituzione del concilio Vaticano II Gaudium et spes — «gioia e speranza» — che concerne la Chiesa nel mondo contemporaneo. Nella parte finale di questo documento conciliare, dove viene affrontato anche il tema della pace tra i popoli, si trova un’espressione fondamentale sulla quale è bene soffermarsi: «La pace non è stata mai stabilmente raggiunta, ma è da costruirsi continuamente» Quanto reale è questa osservazione! Purtroppo, guerre e violenze non cessano mai, e la ricerca della pace è sempre faticosa. In anni segnati dal pericolo di possibili conflitti planetari, il concilio Vaticano II denunciava con forza — in questo testo — la corsa agli armamenti. «La corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è la via sicura per conservare saldamente la pace», ed aggiungeva subito che la corsa al riarmo «è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri» (GS, 81). A tale preoccupata constatazione i Padri Conciliari facevano seguire un auspicio: «Nuove strade — essi affermavano — converrà cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo scandalo e al mondo, liberato dall’ansietà che l’opprime, possa essere restituita la vera pace» (ibid.). «Nuove strade», dunque, «partendo dalla riforma degli spiriti», dal rinnovamento degli animi e delle coscienze. Oggi come allora l’autentica conversione dei cuori rappresenta la via giusta, la sola che possa condurre ciascuno di noi e l’intera umanità all’auspicata pace. È la via indicata da Gesù: Lui — che è il Re dell’universo — non è venuto a portare la pace nel mondo con un esercito, ma attraverso il rifiuto della violenza. Lo disse esplicitamente a Pietro, nell’orto degli Ulivi: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt 26, 52); e poi a Ponzio Pilato: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36). È la via che hanno seguito e seguono non solo i discepoli di Cristo, ma tanti uomini e donne di buona volontà, testimoni coraggiosi della forza della non violenza. Sempre nella Gaudium et spes, il Concilio affermava: «Noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità» (n. 78). A questa categoria di operatori di pace appartenete anche voi, cari giovani amici. Siate, dunque, sempre e dappertutto strumenti di pace, rigettando con decisione l’egoismo e l’ingiustizia, l’indifferenza e l’odio, per costruire e diffondere con pazienza e perseveranza la giustizia, l’uguaglianza, la libertà, la riconciliazione, l’accoglienza, il perdono in ogni comunità. Mi piace qui rivolgere a voi, cari giovani, l’invito con cui ho concluso l’annuale messaggio del 1° gennaio scorso per la Giornata Mondiale della Pace, esortandovi «ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti incontestabilmente vero l’assioma secondo cui “combattere la povertà è costruire la pace”». Molti di voi — penso ad esempio a quanti operano con la Caritas ed in altre strutture sociali — sono quotidianamente impegnati in servizi alle persone in difficoltà.

Finita l’udienza, dato il mio amore per l’arte, ho preferito saltare il pasto e accodarmi subito per entrare nella Basilica di San Pero (come usano dire i trentini), luogo più rappresentativo al mondo per incontro tra storia, arte e cultura. Sfortunatamente avevo solo tre ore ma la coda non era lunga e l’attesa è durata appena dieci minuti; ho avuto quindi il tempo per visitare la Basilica da cima a fondo, a partire dalle tombe fino al bellissimo panorama di Roma dalla cima della cupola.

Non posso dire che questo viaggio non mi sia rimasto nel cuore e forse è proprio vero che chi va a Roma un po’ romano ci diventa.

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