«Anche i piccoli libri hanno il loro destino» sosteneva il grammatico latino Terenziano Mauro. E non potrebbe esserci citazione più azzeccata per descrivere «Come d’aria», la densa biografia e insieme il testamento della scrittrice Ada d’Adamo, scomparsa il 1° aprile scorso a Roma a causa di un tumore metastatico. Diplomata all’Accademia Nazionale di Danza e laureata in Discipline dello Spettacolo, ha curato diverse pubblicazioni legate al mondo del teatro. Una carriera spesa spiegando, illustrando e condividendo con gli altri la sua passione per le arti performative, fino a quando – nel 2005 – il flusso della comunicazione si è invertito e Ada, anziché dare notizie, si è trovata a riceverle. E non si trattava di informazioni qualsiasi, bensì di annunci che spezzano la vita, dividendola in un prima e un dopo. Prima è arrivato il test di gravidanza positivo e con lui tante domande: come la prenderà il mio compagno? E che ne sarà della mia vecchia vita? Saremo in grado di crescere questo figlio nel migliore dei modi? Domande ricorrenti, tante incertezze, la gioia e la curiosità mescolate alla paura, la puntualità nello svolgere i controlli programmati per verificare che tutto procedesse nel migliore dei modi, le rassicurazioni dei dottori: «Tutto in regola, signora, alla prossima». E poi ancora, la preparazione del corredino e del borsone per l’ospedale, la nonna che arriva dal paese per stare vicina alla puerpera, il parto, il primo respiro di Daria – con i nomi dei genitori, Ada e Alfredo, saldamente allacciati nel suo – i primi messaggi di congratulazioni. Benvenuta al mondo, piccolina. Se fossimo in una commedia romantica, il sipario si chiuderebbe su questa famiglia che nasce. Ma purtroppo, in questo caso, il lieto fine non c’è. A poche ore dal parto, si scopre che Daria ha una grave malformazione celebrale: l’oloprosencefalia. Il suo corpo crescerà conformemente all’età, ma non sarà accompagnato dal corrispondente sviluppo intellettivo. Per lei vedere, camminare, esprimere un pensiero ad alta voce sarà molto difficile, di fatto impossibile. Un’ecografia avrebbe dovuto fotografare la gravità della situazione ma… il destino e la disattenzione hanno deciso altrimenti. E così per Ada comincia una nuova esistenza, moltiplicata per due: vede per la figlia, cammina al posto suo. Non è più una scrittrice, una signora, una donna: negli ospedali e agli occhi degli altri diventa «la mamma». E non una qualsiasi, bensì la mamma di una bambina con disabilità, costretta in bilico sopra una cassettiera di etichette che aspetta soltanto di inghiottirla: sarà la «mamma iena» arrabbiata col mondo, sempre pronta a far valere i diritti della figlia a forza di grida e pugni sul tavolo? La mamma trasandata, con le borse sotto gli occhi? La mamma coraggio sempre vestita di tutto punto? Per fortuna, una cosa è certa: almeno non sarà la mamma di un secondo figlio, trascurato, che resta a casa col papà mentre il fratellino o la sorellina con disabilità – tra ricoveri, ricadute e riabilitazioni – «gli ruba», suo malgrado, la scena. Eppure, lei vorrebbe essere soltanto Ada, con le sue angosce, i giorni buoni e un dubbio costante sullo sfondo: perché proprio a me? Se avessi saputo, avrei abortito? Forse sì, «eppure ora non riesco a immaginare una vita senza di lei». La «ragazza magica», che va a scuola, non tanto quanto vorrebbe, perché a volte manca l’insegnante di sostegno. Che con l’aiuto di una compagna registra una poesia con gli auguri di Natale per i suoi genitori. Che, quando esce dalla macchina – grazie a sollevatore e pedana – non cammina, ma vola. Mentre la mamma, ormai, desidera soltanto una cosa: rimanere abbastanza in salute per poterla sollevare, accompagnare, accudire, lavare. Ma anche qui, la vita ha altri programmi e così Ada scopre che «quello strappo» alla schiena in realtà è un tumore alla mammella. Diligente, disciplinata e determinata, si sottopone a tutte le cure: radio, chemio, operazioni. Perde i capelli, le forze, l’appetito, la memoria. Ma lotta, come ci si aspetta da ogni bravo malato. Forza guerriero, se ti impegni ne uscirai. Come se la volontà bastasse a mandare il cancro in remissione. Nel frattempo, assieme al marito, si informa sul «dopo di noi» e scrive questo libro che a luglio le è valso il Premio Strega postumo e tanti altri prestigiosi riconoscimenti. Chissà, forse li avrebbe barattati tutti senza battere ciglio, per trascorrere anche solo un giorno o un mese in più con le persone che amava. Quello che è certo è che ci ha lasciato un’opera magistrale, che graffia e al contempo accarezza, restituendo con la fedeltà derivata dall’esperienza diretta, quel minestrone di tenerezza, rabbia, frustrazioni, impotenza, che sono i sentimenti di chi si prende cura di una persona ammalata o con disabilità. Sei esausto, ma non puoi staccare il pilota automatico per paura di cedere. E allora sorridi, ogni tanto vai alle feste degli altri, ridi alle loro battute, provi a rispecchiare la loro spensieratezza, ma è una mezza farsa, perché la verità è che ti stai seccando dentro. Purtroppo, infatti, come scrive Ada «spesso la malattia allontana, separa, distrugge». «Qualche volta» a cui dovremmo aggrapparci stretti «invece genera, allaccia, moltiplica l’amore». Un amore grande, infinito e discreto, che accoglie senza giudicare, come l’abbraccio con cui lei – nel tentativo di capirsi e spiegarsi – ha saputo avvolgere tutti coloro che prendono in mano questo suo libro, accurato come un manuale, ma anche spietato, delicato e coinvolgente come solo la vita vera sa essere.