Condividere la SLA di mio marito

Data: 01/12/12

Rivista: dicembre 2012

In questo periodo nel quale i malati di SLA “gridano” a gran voce per ottenere diritti vitali, noi abbiamo ascoltato anche la voce di un familiare che condivide la patologia del marito.

Condividere è il termine più adatto che sono riuscita a trovare, perché Francesca dorme su di una brandina vicina al letto pieno di apparecchiature del marito e lo accudisce come solo un cuore ricolmo d’affetto potrebbe fare in queste circostanze. Non basta l’affetto! C’è bisogno anche di un piano di cure personalizzato e di un assegno di cura adeguato poiché i familiari svolgono il lavoro di un’equipe medico-infermieristica e la casa si trasforma in una camera di degenza ospedaliera.

Francesca Giordani ha 55 anni, è nata in provincia di Pordenone. La sua vita lavorativa è stata abbastanza variegata. Ma gli anni più intensi sono statti quelli come collaboratrice del Gruppo Abele, sia vivendo in comunità che lavorando nelle attività del Gruppo. “Un’esperienza molto intensa che si è conclusa quando ho sposato Alberto” – ci racconta Francesca – “Alberto si era trasferito a Torino da Fossano proprio per lavorare anche lui nel Gruppo Abele. Con l’arrivo di Micol mi sono ritrovata a fare la mamma a tempo pieno. In seguito ho lavorato part-time per sei anni in una ludoteca del Comune di Torino e contemporaneamente impiegata amministrativa in una ditta privata. Ora sono in aspettativa retribuita in base alla legge 104 fino a luglio 2013. Poi dovrò decidere se tornare al lavoro o dare le dimissioni”.

Quando hai conosciuto Alberto?

“Ci siamo conosciuto nel 1985, lavoravamo entrambi nel Gruppo Abele. Sai come succede… Fu amore a prima vista. A novembre vivevamo insieme e nel luglio successivo ci siamo sposati. Non siamo una coppia inossidabile, abbiamo attraversato momenti molto difficili e anche rotture che sembravano definitive, eppure… siamo ancora qui”.

Com’era la vostra vita prima della diagnosi di SLA? Com’è cambiata adesso?

“Conducevamo un’esistenza normale, lavoro, ad entrambi piace viaggiare e lo abbiamo fatto molto, da soli, con Micol (fino all’adolescenza) e poi nuovamente in coppia. È una cosa che mi manca molto ma, come dice Alberto, mai guardarsi indietro, la nostalgia uccide.

Lui, patito della montagna mi portava a camminare, io invece, appassionata di vela lo trascinavo in qualche uscita in barca.

Si andava spesso al cinema, sceglieva sempre Alberto perché un film scelto da lui è una garanzia ed io mi sono sempre affidata volentieri sapendo che non ci avrei rimesso.

L’ultima volta era già in carrozzina, una sala torinese, accessibile dall’ingresso alla sala poi… solo scale, o ti facevi venire il torcicollo mettendo la carrozzina davanti alla prima fila e guardando lo schermo con una prospettiva piuttosto sgradevole o chiedevi a qualcuno compassionevole di aiutarti a fare le scale con la carrozzina. Il problema dell’accessibilità ci ha privato, anche quando potevamo ancora goderne di parecchie uscite. A teatro spesso i posti disabili sono “in piccionaia”, solo al Carignano era sistemato a metà sala, una collocazione decente e non da ultimi arrivati.

All’Alfieri addirittura per “motivi di sicurezza” non potevamo lasciarlo in carrozzina nel passaggio (anche se c’era spazio a sufficienza per la carrozzina ed il passaggio delle persone) ma abbiamo dovuto spostarlo su una poltrona fissa e portare la carrozzina in fondo alla sala. Se fosse successo qualcosa con quali tempi avremmo potuto allontanarlo? La “sicurezza” cui facevano riferimento non era certo la sua.

Questo paese deve fare ancora molta strada per rispettare le persone con disabilità, spesso l’accessibilità è solo il formale rispetto di una norma di legge ma non prevede che il disabile debba anche godere di quello che va a vedere.

Era diventata più una fatica che un piacere e abbiamo smesso di vedere film o spettacoli anche se avremmo ancora potuto farlo.

Oggi, ovviamente, ci muoviamo pochissimo perché Alberto si affatica facilmente, abbiamo amici che vengono a trovarci e ogni tanto ci portano qualche film da vedere insieme in TV.

Quello che ci fa piacere è ricevere visite di amici che ci trattano come tali. Io non riesco a pensare ad Alberto come a un malato, penso a lui come una persona che ha delle condizioni di vita difficili e complicate. Non è un “ammalato”.

La malattia ha fatto il suo corso (e speriamo abbia finito la sua opera distruttiva), ora basta, è una persona che vive in condizioni particolari. Chi viene a trovarlo non viene in visita ad un ammalato, viene a chiacchierare del più e del meno, a commentare gli avvenimenti, a vedere un film, a chiacchierare di cucina per farlo arrabbiare”

Chi è il più forte tra di voi?

Non lo so. Entrambi o nessuno dei due. Siamo normali, abbiamo momenti di sconforto e altri più sereni, certo la nostra situazione è difficile, davvero se guardiamo a quello che abbiamo perso rischiamo di finire in un baratro senza fondo, ma se guardiano a quello che possiamo ancora cercare di avere riusciamo ad andare avanti.

Parliamo brevemente del Comitato 16 Novembre?

È nato a ruota della mobilitazione che ha portato allo stanziamento dei 100milioni di euro per l’assistenza domiciliare ai malati di SLA. È stata una mobilitazione spontanea di malati che non si sentivano rappresentati dalle grandi associazioni nazionali e che volevano una risposta e non le solite promesse che non avevano seguito.

Come siete giunti alla decisione dello sciopero della fame?

Ad aprile, a seguito di un’ennesima manifestazione a Roma, ci era stato detto che era allo studio, ormai da cinque mesi, un piano organico d’intervento sulle disabilità, avrebbe dovuto pazientare ancora un mese e il piano sarebbe stato reso pubblico.

Qualcuno di voi ha saputo qualcosa in merito? Non so se esasperi maggiormente la condizione in cui si vive o queste eterne prese in giro da parte delle istituzioni che dovrebbero garantirti. Si dice a mali estremi… estremi rimedi. Cos’altro possiamo fare?

Credo non si tratti solo di rivendicare un diritto ma sia anche un dovere costringere le istituzioni ad adempiere il loro ruolo.

Inoltre gli ammalati di SLA avevano avuto un contributo e perché gli altri ammalati nelle stesse condizioni no? Ci sentivamo ingiustamente privilegiati.

Quello che rivendichiamo è che sia istituito un fondo per la tutela di TUTTI i non autosufficienti.

Senza contare che il nomenclatore degli ausili è vecchio di oltre 10 anni (non è previsto il comunicatore oculare per esempio) e i Lea andrebbero aggiornati.

C’è chi ci accusa di fomentare una guerra tra poveri, di non tenere conto che anche le altre disabilità, meno gravi, vanno tutelate.

È vero, ma in attesa della soluzione ideale per tutelare tutti, cominciamo a fare qualcosa almeno per chi sta peggio? Altrimenti rischiamo di restare eternamente in attesa di soluzioni fantastiche che non arriveranno mai.

A una persona privata di tutto meno che della lucidità di comprendere perfettamente la condizione in cui si trova, possiamo almeno risparmiare l’angoscia di sapere che, se decide di vivere ugualmente, costringe i propri familiari a una vita di sacrificio al limite delle possibilità? Oggi deve scegliere se vivere, mettendo agli arresti domiciliari il marito o la moglie e/o togliere il futuro ai figli (perché ha necessità di qualcuno costantemente al suo fianco), o rifiutare la tracheotomia e liberare la famiglia da un peso che, senza aiuti, è insopportabile.

È stato naturale che lo facessi anche tu?

Sì, quando si dice che con la SLA è una famiglia che si ammala e non una persona, è vero.

Però quando ho paventato ad Alberto che se avessi dovuto sentirmi male, l’unica soluzione sarebbe stata quella di un ricovero… mi ha detto di mangiare.

Non l’ho fatto e non lo faccio, almeno per ora, spero di non metterlo nei guai…

Cosa ci si aspetta da questo Governo?

Francamente avevo parecchie attese su questo governo, sono abbastanza delusa, non ha attaccato i privilegi ed ha pescato nelle solite tasche.

Quando il tesoriere di un partito può perdere 100mila euro al gioco e nessuno se ne accorge, vuol dire che hanno troppo denaro. Se a me mancano 50 euro nel portafoglio, me ne accorgo subito e li vado a cercare, se non li cerchi è perché non ne hai bisogno.

Se davvero si volessero recuperare gli sprechi, ci sarebbe denaro per le esigenze del sistema sanitario e per interventi nel sociale.

Quello che non riesco a capire è perché ci siano tante resistenze a rendere praticabile un progetto che è a basso costo.

Sono malati che in ospedale sono ricoverati in rianimazione, nelle RSA fatichi a trovare posto perché non sono molte quelle attrezzate per accoglierli data l’alta intensità di cure di cui hanno bisogno. In ogni caso il costo per la collettività è elevato, si stima in 70.000 euro/anno. Per l’assunzione di assistenti familiari abbiamo fatto la richiesta di 20.000 euro/anno per i casi più gravi. Riesco solo a pensare che con le famiglie si possa intrallazzare poco…

Oppure, siccome le famiglie spesso sono disposte a svenarsi piuttosto che ricoverare il familiare, cinicamente le si lascia dissanguare, costa ancora meno.

Forse la nuova forma di protesta potrebbe essere quella di far ricoverare contemporaneamente tutti i nostri cari, credo andrebbe in tilt il sistema.

Alberto sicuramente preferisce non mangiare.

Cosa desideri più di tutto per il tuo compagno di vita?

Serenità e qualche momento di allegria. Abbiamo una splendida figlia, di cui siamo enormemente orgogliosi, vorrei che potesse godere dei suoi successi e consolarla nei momenti bui.

Il futuro è solo domani, oppure?

Sì, ho imparato a non fare progetti perché le condizioni di Alberto sono così imprevedibili che spesso facciamo programmi, anche a breve, che saltano all’ultimo minuto.

Può diventare frustrante non riuscire a portare a termine quello che avevi progettato, qualsiasi cosa sia. Meglio vivere alla giornata, che non vuol dire rinunciare a tutto, solo si fa quello che si ha voglia di fare in quel momento.

Grazie Francesca.

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