Cos’è la felicità?

Data: 01/04/15

Rivista: aprile 2015

Epicuro, in una lettera sulla felicità a Meneceo, gli dichiarava che non c’era età per conoscere la felicità: non si è mai né vecchi né giovani per occuparsi del benessere dell’anima, filosofando, cioè amando il pensiero. La filosofia e la conoscenza delle cose creano lo stato di felicità. Nella sua vita naturale l’uomo allontana da sé il dolore sia fisico che psichico e l’assenza di queste due cause porta al raggiungimento della felicità. Anticamente si definiva l’appagamento delle necessità primarie secondarie e sovrastrutturate. La felicità assoluta per il Cristianesimo e anche per l’Ebraismo è la visione di Dio. Lo studio scientifico della felicità comporta la valutazione di diversi aspetti e di diverse sfaccettature che spaziano dall’aspetto psicologico a quello filosofico arrivando anche a valutazioni di tipo materiale. La scienza umanistica studia queste diverse forme. La felicità può essere considerata come il provare ciò che esiste di bello nella vita. Non è un’emozione oggettiva, né è casuale come un evento del destino, ma è una capacità individuale di scoprire e di percepire. La felicità appartiene alla sfera del trascendente per quanto riguarda la sua sostanza, oggetto della ricerca dell’individuo. Alcuni elementi definiti fra i bisogni primari quali gli impulsi biologici come la fame, il sonno, la sete e la voglia espressa in impulso sessuale, ci spingono a cercare la felicità, meta di appagamenti. Quindi i cosiddetti bisogni biologici danno forma a una situazione di attesa e di infelicità nella speranza di risolvere questa esigenza. Al raggiungimento di queste, ne segue una fase temporalmente breve, in cui si riformano altri bisogni e differenti necessità, frutto di elaborati meccanismi altalenanti fra pulsioni e istinti primordiali. Le persone hanno dentro di sé la necessità di elevare la propria psiche a cose trascendenti che le portino a soddisfare la loro sete di conoscenza di verità e di infinito. A parer mio le caratteristiche della felicità variano a seconda di chi soggettivamente ci si rapporta. Per alcuni può essere la semplice serenità, che consente di godere di appagamento, di eccitazione, di ottimismo. La felicità può essere il raggiungimento di un desiderio, la soddisfazione di vederlo realizzato. Il bisogno di felicità, sotto il profilo psicologico, può essere anche una soluzione a un determinato problema e la soluzione dello stesso procura l’appagamento che trascina con sé la gioia di sensazioni e di emozioni dell’intelletto e del corpo. Se l’uomo è felice, subentrano nella sua anima anche le sensazioni di appagamento e di soddisfazione e di quiete. Innegabilmente l’uomo è un’entità che si compone di elementi indissolubili quali psiche, corpo e spirito che si influenzano vicendevolmente. La felicità solo nel piano biologico, significa dipendere unicamente dai bisogni biologici e non andare oltre, condizione questa di un susseguirsi ciclico che ritorna su se stesso ma ciò avviene solamente in pochi casi. A livello anatomico recenti studi di elettrofisiologia e immunoistochimica hanno articolato il concetto introdotto da Papez sulla centralità del sistema limbico nel procurare una reazione di natura certamente chimica ed elettrica, causale di quella che viene definita percezione della psiche e degli sbalzi di umore. Infine il raggiungimento del benessere del corpo ma anche il raggiungimento della serenità dell’anima creano la felicità. Solo il raggiungimento di entrambi dà la felicità completa. Trilussa nella sua versione in romanesco della felicità la definiva «na’ piccola cosa, come un’ape che se posa sopra un botton de rosa, l’annusa e se ne va». Io la condivido pienamente.

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