
Un libro con una ragazza sorridente in copertina. È Chiara, l’autrice, qui ritratta in una vecchia foto di quando stava ancora bene. Perchè oggi non è più così. Ha una malattia che l’ha costretta su una sedia a rotelle, che la fa soffrire ogni giorno. Eppure Chiara non ha perso la sua voglia di stare con gli altri, di fare nuove amicizie, di vivere ed andare avanti giorno per giorno, nonostante tutto. Il suo sguardo è ancora attento e vivace, con quel suo bellissimo sorriso, come in quella vecchia fotografia, che viene così naturale ricambiare. Ha trovato la forza di vivere la sua vita con “lei”, come chiama la sua malattia nel libro, ed ha scritto Crudele dolcissimo amore, per condividere con gli altri la sua esperienza di fede e di coraggio. Comincia col scrivere di sé e della sua infanzia portandoci a conoscere la sua famiglia e la sua vita di quegli anni, con i sogni da adolescente e poi della maturità. Il lavoro d’infermiera professionale all’Ospedale S. Chiara di Trento, l’incertezza e le difficoltà dovute al manifestarsi dei primi sintomi della malattia, la porteranno a girare gli ospedali e i medici di mezza Italia, solo per riuscire ad avere finalmente una risposta. È costretta a lasciare il lavoro tanto amato per l’aggravarsi delle condizioni di salute. Fra tutto ciò s’inserisce il sostegno che riceve dalla sua fede in Gesù e dallo scambio di lettere con Chiara Lubic, la fondatrice dei Focolarini, che l’aiuta e le dà la forza per andare avanti nei momenti difficili fino ad arrivare alla sua vita odierna. E questi sono solo frammenti di quanto riportato nel libro. Se volete sapere il resto, vi converrà leggerlo, per il semplice motivo che non è facile spiegare e cogliere per intero un libro così profondo e disarmante, nella semplicità con cui Chiara descrive se stessa e la sua vita, scritto in maniera così pulita e, allo stesso tempo, dolce. Quella che si coglie nel leggerlo è la dolcezza e la poesia dell’animo della sua autrice che sembra accompagnare per la mano i lettori durante tutta la lettura. La bellezza degli scritti di Chiara è dimostrata anche dal favore del pubblico che, ad oggi, ha portato San Paolo Edizioni a ristampare il libro per la sesta volta.
E adesso l’intervista che Chiara ci ha gentilmente concesso.
- Com’è nata l’idea del libro?
- È nata casualmente. Sono stata invitata a parlare assieme ad altre persone in un convegno a Verona sulla disabilità dal titolo: ”L’Infinito dentro”. In quell’occasione in sala ad ascoltarmi c’era anche uno dei relatori del giorno prima, Vito Mancuso, che ora è editor della casa editrice S. Paolo. Particolarmente colpito da quello che avevo detto, al termine della giornata ha voluto conoscermi e chiedermi la possibilità di restare in contatto con lui per un eventuale collaborazione. Dopo qualche mese si è rifatto vivo cominciando a chiedermi se per caso avevo scritto qualcosa, e che sarebbe stato contento di leggerlo.
- Com’è stato scrivere, ripensando alla tua vita e al ricordo di persone care? Cos’hai provato?
- Sarà stata l’incoscienza della novità ma, come ho detto prima, non essendo convinta che sarei davvero riuscita nell’impresa, l’ho vissuta con molta normalità almeno per la prima parte, anche perché scrivere per me è sempre stato facile, istintivo: mi viene naturale e i ricordi erano e sono tuttora molto vivi.
- Perchè lo hai scritto sotto forma di diario? Cosa volevi comunicare agli altri?
- Anche questa è stata una logica conseguenza visto che avevo parecchie cose già scritte sotto questa forma. È la storia della mia vita, di momenti anche tesi, sofferti e duri che descrivevo buttando di getto sulla carta l’intensità di ciò che stavo vivendo. Quindi l’editore ha preferito non alterare questo mio modo di raccontare. Ho capito solo dopo, a pubblicazione avvenuta, attraverso le lettere e le e-mail che ho ricevuto, che questa mia storia poteva servire a qualcuno in forme diverse e a seconda del vissuto di ogni singola persona,
- Nel tuo libro, hai parlato di te e della tua vita con una semplicità disarmante. Non ti ha disturbato condividere il tuo “io” più profondo con i tuoi lettori, non so quanti ci sarebbero riusciti?
- In effetti anche a questo ci ho pensato ”dopo” e forse – se me ne fossi resa conto prima – probabilmente il timore di espormi mi avrebbe bloccata. Anche se sembra incredibile la mia ingenuità, credimi, è davvero così. Pensavo che sarebbe rimasta una storia letta da pochi e non, come invece è successo, arrivare a stampare la sesta edizione.
- Leggendo quanto hai scritto, si capisce che sei sempre riuscita ad apprezzare i piccoli fatti e le gioie della vita, ma ora con la tua malattia ti sembra che questa tua “percezione” sia cambiata? In quale modo?
- Con la malattia ho perso moltissimo a vari livelli e sto continuamente perdendo. Proprio per questo ogni minuscola cosa assume un peso notevole perchè non è né scontata né gratuita. Anche solamente avere la forza di alzarmi ogni giorno dal letto è già una conquista. Riuscire a telefonare o a scrivere a qualcuno o meglio ancora uscire di casa per andare a sdraiarmi su un prato solamente per vedere lo scorrere delle nuvole è già una gioia. Piccole, piccolissime cose che ti costringono in un certo qual modo a fermarti “dentro” oltre che fuori e quando ti arrivano proprio perchè non te le aspetti, sono davvero un regalo
- Nel libro hai raccontato le tue difficoltà legate all’uso della carrozzina. È ancora così?
- C’è voluto parecchio per superarle e mi sembra di essere a buon punto. Dico questo perché credo che non si finisca realmente mai di trovare difficoltà stando da questa parte. Lo definisco un periodo di gestazione lunghissimo. Credo che ognuno di noi “carrozzati” ha dei tempi personali per superare le difficoltà. Difficoltà che in base a mille variabili non sono standardizzabili. L’importante è saperli rispettare per sé e per gli altri.
- Le barriere architettoniche?
- C’è molta strada da fare… Io direi che davvero per far capire cosa si prova a stare seduti qua sopra si dovrebbe far fare una settimana di “full-immersion” nelle difficoltà – carrozzina compresa – senza agevolazioni di sorta a chi ha responsabilità in questo senso.
- Ci puoi spiegare un po’ meglio il tuo concetto d’autonomia?
- Tengo moltissimo all’autonomia. Per carattere sono sempre stata molto indipendente ed una cosa che mi pesa tantissimo e mi fa anche soffrire di questa realtà che sto vivendo, la carrozzina appunto, è proprio il fatto di dover dipendere in certe situazioni, da altre persone. Io parto dal presupposto che ciò che si può fare da soli è giusto e doveroso poterlo fare fino a quando si può. Io ci metto magari un minuto ad aprire una scatoletta contro il secondo di una persona normale. I tempi sono dilatati logicamente e questo non sempre si riesce ad accettare ed è ancora più difficile farlo accettare dagli altri. La reazione più comune è quella di sentirsi dire: “Lascia stare faccio io, ti aiuto io”. In certe situazioni va anche bene ma in altre no. Io sento maggiormente la mia impotenza, la mia incapacità con qualcuno che mi sta alle costole con la sua fretta. Mi rendo conto che è lo specchio della realtà in cui siamo immersi tutti: massima resa alla massima velocità. Con noi non funziona così. Ci vuole molta pazienza da ambo le parti. Imparare a “rallentare” per poter dare anche a noi la possibilità di dimostrare che non siamo ancora tutti da buttar via. Ma vuoi mettere la soddisfazione di poter dire. “Ci ho messo un po’ di più ma ce l’ho fatta da sola!”?
- Cosa vorresti dire alle persone che vivono situazioni di dolore, malattia o disabilità?
- Non mollate. Anche se è dura. Anche se non vi sono vie d’uscita. Anche se il tunnel che state percorrendo è buio. Brontolate ogni tanto. Lo faccio anch’io. Se si brontola in due qualche volta scappa pure da ridere. Provare per credere! Fatevi sentire senza aggressività ma fatevi sentire. Cominciate ad abituare gli altri della vostra presenza non solo come malati ma soprattutto come persone degne di rispetto.
- Dalla tua scrittura traspaiono una profondità d’animo e una dolcezza straordinari, come fai a mantenerli ogni giorno?
- Ho un Interlocutore che per fortuna non si stanca mai di me.. Che mi ascolta sempre anche quando ho esaurito le scorte della dolcezza. Uno che posso anche “strapazzare” con le mie lamentele e al quale posso dire: “Io e Te alla fine faremo i conti visto che qui sulla terra non mi tornano e poi, quando sarò Lassù, me la spieghi tutta come mai mi è andata così”. Lo chiamo il mio Socio con la “S” maiuscola. È grazie a Lui se riesco ancora ad andare avanti in queste condizioni.
- Com’è il tuo rapporto con la gente, in generale? Cosa vorresti dire ai tuoi amici?
- Con la gente generalmente buono anche se magari senza darlo a vedere soffro dentro se per caso mi capita di dover affrontare persone insensibili, aggressive o prepotenti.
Ai miei amici, che per fortuna sono tanti, non basterebbe un altro libro per riuscire ad esprimere ciò che a ciascuno di loro vorrei dire. Innanzitutto vorrei ringraziarli di esserci. Grazie per la loro disponibilità e pazienza. Grazie a chi riesce ad intuire ancor prima di dirlo ciò che soffro dentro, a chi mi vede nei momenti “no”, a chi mi ascolta, a chi mi fa ridere, a chi mi sopporta, a chi mi solleva o mi aiuta negli spostamenti senza farmi male, a chi mi scarrozza da un ospedale ad un altro, da una visita all’altra ma anche a chi mi offre di andare a spasso e si sente dire il più delle volte che non ce la faccio. A chi mi “soccorre” nelle normali, comuni difficoltà-esigenze della vita quotidiana. - Oggi, aggiungeresti qualcosa a quanto già scritto?
- Probabilmente sì perché la vita va avanti. Ogni giorno che passa si vive qualcosa di diverso, si capisce qualcosa di più ma dirti cosa in questo momento non saprei. In genere quando scrivo non parto mai con un’idea precisa. Lascio che sia l’anima che ho dentro a guidarmi, a dettarmi ciò che alle volte io stessa scopro con sorpresa di avere.
- Pensi di scrivere ancora?
- Se tu mi avessi fatto questa domanda subito dopo la pubblicazione del libro ti avrei risposto: “Ma sei matta?” (scusa la confidenza, eh?) In effetti sul libro quando l’editore ha scritto… è il suo primo libro… gli ho obiettato che una frase del genere presupponeva un seguito al quale io proprio non pensavo. Non c’è stata una vera e propria risposta. Probabilmente lui ha la vista più lunga della mia e… chissà…?
Io non posso escludere nulla perché ho capito che nella vita a volte può succedere davvero anche l’impensabile. - Grazie mille per la disponibilità dimostrataci.
- Grazie a te! Ciao!