Dal doping alla terapia

Data: 01/10/12

Rivista: ottobre 2012

Sono Giuseppe Melchionna, presidente dell’Associazione Prodigio che da più di dieci anni si occupa di sensibilizzare sulle tematiche della disabilità e del mondo sociale.

Volevo esprimere alcune considerazioni in merito al tema del doping nel mondo sportivo professionistico e non solo, mi sorprende il fatto che queste persone sane e dotate fisicamente debbano ricorrere a sostanze dopanti per migliorare ulteriormente le proprie performance. Non sono ingenuo nel capire che ci sono in mezzo oltre alla gratificazione personale, anche notevoli interessi economici e di marketing che vanno a disegnare un uso quasi sistemico di sostanze dopanti. Ciò che mi rammarica maggiormente è il fatto che questi soggetti oltretutto compromettono la loro salute in primis, ma anche la fiducia di chi gli sta intorno e di chi li segue. Per la mia personale esperienza di tetraplegico a causa di un incidente stradale, da più di trent’anni vivo su una sedia a rotelle e adesso a causa di altri problemi di salute, devo assumere terapeuticamente le stesse sostanze (EPO) di questi “finti” sportivi. L’eritropoietina o EPO è un ormone glicoproteico prodotto negli esseri umani dai reni e in misura minore dal fegato e dal cervello, che ha come funzione principale la regolazione dell’eritropoiesi (produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo).

L’EPO è prodotta anche in laboratorio e utilizzata come farmaco per curare le anemie in pazienti come me affetti da malattie renali o da malattie del sangue, o per permettere un recupero più veloce dopo la somministrazione di chemioterapia nei pazienti affetti da cancro.

In studi recenti è stato osservato pure un ruolo neuroprotettivo di EPO come agente antinfiammatorio. Al di fuori delle indicazioni previste nella scheda tecnica, il farmaco è purtroppo impiegato anche come sostanza dopante, sfruttando la sua capacità di aumentare il numero di eritrociti anche in soggetti sani, come gli atleti, al fine di aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti (specie quello muscolare scheletrico e cardiaco) e di migliorare quindi la performance sportiva.

Alla luce di questo ultimo utilizzo mi sento di affermare che per me essere uomini vuol dire combattere ogni giorno con dignità, affrontando la vita nonostante la disabilità, la malattia e tutto quello che ne consegue, felice di apprezzare ciò che si ha.

Vorrei invitare gli atleti a fare un passo indietro e ad avvicinarsi alle vere sfide quotidiane che tante persone affrontano con costante fierezza. Potrebbe essere un’occasione di crescita personale ma anche un modo per approcciarsi ai limiti in maniera più costruttiva e sana.

precedente

successivo