Ci sono scuole in cui la disabilità si racconta attraverso filmati e conferenze. E altre – come l’istituto superiore don Milani di Rovereto – in cui si impara a conoscerla ogni giorno grazie a una collaboratrice scolastica molto speciale, che sfreccia da un’aula all’altra sulle ruote della sua carrozzina e durante la ricreazione mostra ai ragazzi i video delle gite in handbike, sfatando il mito secondo cui un disabile non può avere una personalità avventurosa. Il suo nome è Daniela Preschern, e noi l’abbiamo incontrata per voi.
Daniela, per prima cosa raccontaci un po’ di te…
Dunque, sono nata a Rovereto – dove tutt’ora abito – nel 1983 e a 8 anni mi è stata diagnosticata la neuropatia sensitiva motoria di Charcot, una malattia degenerativa che colpisce i nervi che controllano i movimenti muscolari e quelli che trasmettono le informazioni sensoriali al cervello. Così tre anni fa, dopo svariate vicissitudini e un’infezione alla colonna vertebrale, le mie gambe hanno dato forfait e ho dovuto cominciare a utilizzare la carrozzina per spostarmi.
Come ti sei sentita quando il dottore ti ha spiegato che non avresti più potuto camminare?
Ho un carattere forte, ma non è stato facile. Io e mio marito Luca amiamo stare all’aria aperta e, grazie alla bici elettrica, riuscivo ad accompagnarlo in ogni tipo di escursione. Poi è arrivata la carrozzina. Nell’ottica di non abbattermi, ho deciso di andare con lui e un gruppo di amici in Paganella. Loro pedalavano in sella alle loro bici, mentre io me ne stavo ferma, immobile e triste. Praticamente parcheggiata. Per fortuna, qualche tempo dopo, ho visto un servizio dedicato all’handbike su una televisione locale.
E di fatto non sei più scesa di sella!
Esatto, l’ho provata e sono tornata subito libera di muovermi. Così, assieme a Luca ci siamo ingegnati per costruirne una su misura per me. E adesso posso dire di fare più cose di prima. Le tre ruote mi aiutano a combattere lo stress.
Sullo sterrato sei riuscita a trovare un equilibrio tra la Daniela di prima e quella di oggi. In città, invece? Ti accorgi di ostacoli che prima non vedevi?
Sì. La tecnologia aiuta le persone con disabilità motoria a muoversi in autonomia. Penso ai motorini elettrici per le carrozzine. Però le barriere architettoniche sono ancora tante. Tra queste i marciapiedi stretti, i negozi e bar con le tre scalette all’ingresso, o ancora i ristoranti con i tavoli troppo vicini l’uno all’altro.
E a scuola?
In realtà, di solito, di fronte alla carrozzina i ragazzi hanno una reazione più normale rispetto agli adulti. Sorridono, scherzano, mi chiedono come sto e, se serve, mi aiutano, senza compatirmi. E poi si meravigliano, guardando i video delle mie gite in handbike. Insomma, vedono la persona dietro l’etichetta e mi ricordano che, anche se alcune cose – come fare la doccia – da quando sono in carrozzina sono diventate più difficili, altre, come fare la spesa o bere un caffè con le amiche, sono rimaste le stesse. E valgono la pena!
Continuiamo a parlare di giovani. E di social. Tu sei molto attiva su Instagram. Ma che impressione hai di queste piattaforme che – se da un lato fungono da cassa di risonanza per le storie positive – dall’altra purtroppo veicolano messaggi di odio e intolleranza verso la diversità?
Penso che i social siano neutri e – come per qualsiasi strumento – spetti a noi usarli in maniera consapevole. Io li vedo come un mezzo per informarmi sulle ultime novità e conoscere persone con una storia simile alla mia.
Con il Dani Oltre Project?
Sì, dopo vari collaudi e modifiche alla mia handbike sono ritornata sui trail vicino a casa. Poi mi sono spinta sempre più in là e ho cominciato a salire, raggiungendo posti impensabili e lasciando a bocca aperta molti escursionisti. Così ho detto: perché non filmare queste avventure e pubblicarle in modo che altre persone come me possano identificarsi e scoprire un nuovo modo di stare nella natura anche con una disabilità? Vedere i miei follower crescere, scrivermi, ottenere qualche piccola sponsorship del materiale o magari un pezzo di ricambio in regalo è stato emozionante. Grazie ai social, ho partecipato a fiere ed eventi, incontrato e conosciuto gente meravigliosa che mi ha aiutata e con la quale è nata una grande amicizia.
Come ti vedi di qui a dieci anni?
A dire il vero non so come si evolverà la mia malattia. La vita è una sfida continua e io voglio affrontarla giorno per giorno, con grinta. Mi piacerebbe costruire una community di persone disabili che vanno in handbike e magari creare dei percorsi per questo tipo di sport in giro per l’Italia. E perché no, magari anche organizzare qualche piccola gara amatoriale. Affinché chi, come me, ha difficoltà motorie possa rimettersi in gioco e riprendersi, almeno in parte, ciò che ha perso.