È una di quelle storie che ispirano che tanto ci piacciono, quella di Daniele Matterazzo.
Padovano di Legnaro, oggi 33 anni, quando ne aveva 15 ha perso l’uso di un braccio dopo un
grave incidente in motorino. Un trauma per tempo difficile da accettare ed elaborare. Fino alla
svolta: la visione di un film sul Cammino di Santiago, la folgorazione per quel tipo di esperienze,
la scoperta del cammino come cura del corpo e dell’anima. Sfide da affrontare in autonomia, ma
al contempo dando una mano agli altri, come fundraiser sportivo. In che modo? Scopriamolo
pian piano, dalla voce di Daniele.
Daniele, la tua storia parte da quell’incidente…
Era il 23 giugno 2005. Mi sono scontrato con un veicolo: uscendo da uno stop, non ho prestato
la giusta attenzione alla precedenza. Il motorino è caduto a terra e sono stato trascinato dalla
macchina per 40 metri. Nell’urto ho avuto una sub-amputazione al braccio, solo un lembo di
pelle lo teneva conservato. E poi vari danni agli organi interni. Sono stato 6-8 mesi in ospedale,
tra rianimazione e chirurgia plastica.
Quando sei uscito, hai trovato in amici e famiglia l’ancora di salvataggio.
Nel corso degli anni, attraverso varie operazioni, siamo riusciti a recuperare un po’ di mobilità
del braccio. Con il supporto di famiglia e amici, ero contento per aver avuta salva la vita. Ma ad
un certo punto questo non mi bastava più. Quindi ho iniziato a lavorare su me stesso, a cercare
la soluzione migliore per svoltare la mia vita. Ci ho messo 15 anni per elaborare la cosa.
Un “nero” dovuto al fatto di non aver assorbito del tutto il colpo.
Non avevo accettato la mia nuova condizione. Per tanti anni ho tenuto nascosta questa
disabilità, attraverso capi lunghi anche d’estate, per non imbattermi in ciò che poteva farmi
male. E ancora oggi fatico a mostrare un braccio magro, senza muscolatura, pieno di cicatrici,
un “ramo secco”.
Fino all’episodio che fa scattare un clic.
A 30 anni ho avuto una crisi generale. Un’insoddisfazione totale, personale – anche per via di
un amore finito – e lavorativa. Mi manca la terra sotto i piedi. Finché vedo un film alla tv: “Il
cammino per Santiago”. Vedere quei paesaggi, quell’andare senza certezze, mi ha dato
un’ancora di salvataggio. L’inizio di una nuova luce.
E quindi?
Il 1° agosto 2020 parto per trenta giorni per il Cammino di Santiago. Ventitré, seguendo la via
storica, per arrivare alla meta, altri sette per prolungare fino all’oceano. Quest’esperienza mi
restituisce gioia, consapevolezza, autostima, coraggio. Averla scelta e compiuta per conto mio è
stata una bella prova con me stesso. Le prime accettazioni della mia condizione. Sensazioni
che ho sedimentato nei mesi successivi. Fino a realizzare che avevo trovato la mia dimensione.
Camminare per lunghi percorsi era una valvola di sfogo. Volevo sentirmi vivo.
A quel punto…
“Si potrebbe allargare gli orizzonti e fare qualcosa per gli altri”, mi sono detto. Ripensando ai
mesi passati in ospedale, volevo ridare indietro l’aiuto ricevuto. Allora ho voluto sostenere il
reparto di pediatria di Padova, attraverso la Fondazione Salus Pueri. Ho scelto di percorrere, ad
agosto 2021, la via Francigena, dal passo del Gran San Bernardo a Roma. Mille chilometri in
quaranta giorni. Un’ulteriore conferma che la strada intrapresa fosse quella perfetta per me.
Stare in mezzo alla natura è diventato una parte fondamentale del mio essere.
Tanto che nel 2022 hai progettato altri cammini, battendo strade sempre nuove.
Questo amore per la natura mi ha spinto a diventare guida escursionistica. E ogni volta ho
cambiato cammino e tema sociale. Volevo alzare l’asticella: sfidarmi in altri contesti, in qualcosa
di più selvaggio e primitivo. Così ho scelto la Lapponia svedese e il Kungsleden Trail: un
cammino poco gestito, con pochi villaggi sparsi in 450 chilometri, da affrontare ancor più in
autonomia. In questo caso ho sostenuto Noisy Vision, associazione che si occupa di inclusione
sociale di persone ipovedenti o ipoudenti, portandole a fare trekking. Ho visto in questo una
somiglianza con quella che è stata la mia cura.
E per questo 2023?
Dal 24 maggio al 4 giugno ho compiuto una ciclo impresa da Parigi a Padova. Dal primo
ospedale pediatrico al mondo a quello della mia provincia, che ho scelto di sostenere
nuovamente. Un nuovo contesto sportivo: nei cammini conoscevo me e il mio corpo; nella
bicicletta no. Volevo risentire il brivido di una sana inesperienza. Sfidare ciò che non
conosciamo: è lì che escono le parti più forti di noi. E poi ad agosto sono tornato al nord per il
coast to coast islandese. Una situazione simile a quella della Lapponia: un percorso di circa 400
chilometri, desertico, poco abitato, da affrontare in autonomia completa. Desidero sfidarmi in
contesti sempre più ardui, sempre privilegiando il cammino, tentando magari anche altre
discipline.
Hai detto che per te la disabilità è un punto di vista.
Nella mia vita ho incontrato tantissime persone, anche con disabilità più gravi della mia, che
compiono imprese oltre le mie. Se vuoi una cosa, i modi per raggiungerla, mettendoci impegno
e dedizione, trovando soluzioni per sopperire ai problemi, ci sono. Bisogna affrontare se stessi e
dire “ce la posso fare”.
Nelle tue sfide hai sempre scelto di andare da solo.
Ad ora sì. Mi ha fatto guadagnare in autostima e coraggio. Se avessi portato altre persone, mi
avrebbero aiutato nei momenti di difficoltà. Invece io desidero riuscire ad affrontare da solo tutto
ciò che incontro, per scardinare la mia comfort zone e “obbligarmi” a farcela con le mie forze.