Sembra che qualcosa si sia mosso. Non un’onda di marea o un fiume in piena, ma si ha comunque l’impressione di veder scendere un rivolo d’acqua dalle crepe dell’immensa diga d’indifferenza che isola la realtà carceraria dal resto del paese.
Prossimi ormai alle scadenze imposte dall’UE per risolvere la condizione di sovraffollamento che affligge la maggior parte delle strutture penitenziarie presenti in Italia, è stato varato un decreto legge con l’obbiettivo di alleggerire l’enorme pressione.
Il decreto in questione prevede ad esempio l’introduzione della liberazione anticipata speciale, retroattiva al gennaio 2010 e con un termine previsto per il 2015, anno in cui verrà valutata la portata di questa misura per una possibile reintroduzione. Questa, attualmente, si affianca alla liberazione ordinaria, consistente in uno sconto di pena di 45 giorni per semestre, che in quella speciale diventano 75, accelerando in questo modo l’uscita dagli istituti. Questo sarà possibile a seguito di una valutazione da parte del giudice e senza quindi far scattare automatismi giuridici tipici di misure come l’indulto.
Altre due soluzioni introdotte dal suddetto decreto consistono nell’innalzamento del tetto massimo di pena per accedere all’affidamento in prova ai servizi sociali, che passa da 3 a 4 anni, e un maggiore ricorso alla detenzione domiciliare, l’esecuzione domiciliare per fine pena, dando la possibilità di trascorrere gli ultimi 18 mesi all’esterno del carcere. Per incentivare e facilitare la realizzazione di quest’ultima misura sono stati rispolverati i braccialetti elettronici, “introdotti” già nel 2000 con costi pari a 10 milioni di euro l’anno, e praticamente mai utilizzati a causa di alcune evasioni che avevano fatto sorgere dei dubbi sull’utilità di questi strumenti e della difficoltà di installazione del ricevitore presso l’abitazione del detenuto.
Da vent’anni si tentano diverse soluzioni con lo scopo di dare una svolta radicale al sovraffollamento, ma sembra purtroppo che nulla abbia funzionato per davvero; si è visto come l’indulto abbia il pregio di liberare molti individui in breve tempo. Questo obbliga però da un lato i Tribunali a dover comunque celebrare i processi, altro punto dolente della Giustizia italiana, in quanto ad estinguersi è solo la pena e non il reato, e dall’altro provoca un sovraffollamento di quegli enti di assistenza che si vedono in breve tempo invasi di soggetti con necessità di ogni tipo, da quelle terapeutiche fornite dal Sert, a quelle di accoglienza e reinserimento lavorativo, rischiando di mandare in tilt gli aiuti per migliaia di persone. Non c’è quindi da stupirsi se una parte degli “indultati” del 2006 sia tornata tra le braccia della Giustizia in breve tempo, a causa dell’impossibilità di trovare un’alternativa di vita o di un appoggio concreto all’esterno.
Le soluzioni più convincenti per tentare di alleggerire la portata delle nostre carceri sembrano rappresentate da un maggiore ricorso alle pene alternative e nella coordinazione di misure diverse, alcune atte a svuotare gli istituti da dentro, anticipando la liberazione per chi dimostra una buona condotta o puntando più risorse sull’istruzione e sulla formazione professionale durante la pena, e altre per diminuire l’afflusso di individui. Preferire ove possibile la detenzione domiciliare per chi è in attesa di giudizio o condannato a pene brevi evita le traumatiche e controproducenti conseguenze dovute alla permanenza nell’istituto di pena.
Fino a quando le istituzioni e i cittadini accetteranno la presenza di 20.000 persone più del massimo consentito che attualmente stanno scontando una pena detentiva a fianco degli altri 45.000 soggetti per i quali le nostre strutture sarebbero pensate, probabilmente una soluzione non si troverà mai. Fino a quando si preferirà investire in piccoli sforzi, che producono piccoli miglioramenti nei momenti di massima crisi, piuttosto che rivalutare completamente la situazione e rifondare alcuni istituti cardine, si continuerà a parlare di carceri sovraffollate, criminogene, e ingestibili, dove il tasso di suicidi è dieci volte superiore a quello riscontrabile tra la popolazione libera.