Gli studenti del mondo non sono del tutto soddisfatti dell’ambiente scuola. Riunitisi in occasione del forum di Mumbai i rappresentanti delle scuole del pianeta hanno concordato sulla necessità di indire un International Student Day. Nel meeting sociale europeo svoltosi a Londra nel mese di ottobre la questione è stata ridiscussa. In quest’ultimo raduno è stato scelto il 17 novembre come data mondiale per manifestare a favore del diritto allo studio. In Africa questo vuol dire battersi per l’apertura di nuove scuole, in India si spinge ad una maggiore alfabetizzazione, in Europa in ballo c’è la ricerca e in Italia si protesta soprattutto per l’inagibilità della maggior parte degli edifici che ospitano istituti scolastici. Mancano piani antincendio validi, ci sono finestre pericolanti, impalcature senza permessi, lavori mai finiti, spazi inesistenti per permettere gli insegnamenti inseriti come obbligatori nelle ultime riforme del settore.
Così il 17 novembre in Italia, come nel resto del globo, centinaia di migliaia di ragazzi non sono entrati in aula, ma con i loro striscioni colorati sono scesi nelle strade e nelle piazze delle città.
Ottanta località, grandi come Roma o piccole come Ferrara, hanno visto lo sfogo di una categoria che spesso non è giustamente considerata. Sono spesso troppo piccoli, gli studenti, nemmeno maggiorenni e quindi fuori dall’elettorato attivo, troppo giovani, secondo la maggioranza delle persone, per capire e scegliere.
Le condizioni della scuola, quella italiana, perché ovviamente con quella abbiamo l’unico rapporto diretto, è fatiscente. Tralasciamo discorsi fantapolitici sulla legge Moratti che riscuote così pochi consensi come solo la finanziaria può fare e che ha stravolto in parte la routine di alunni e professori. Pensiamo invece ai recenti fatti di cronaca: finestre che cadono, costruzioni che crollano per una lieve scossa di terremoto, ricercatori costretti ad andare a studiare all’estero, professori in perenne sciopero, mancanza di aule e di trasporti adeguati.
I ragazzi spesso sono costretti a fare lezione in tanti in piccole aule o in pochi in aule enormi, in edifici in cui i famigerati piani di sicurezza e lo sbarrieramento sono solo interessanti vocaboli dal significato nullo. I professori sono tenuti a fare diciotto ore settimanali, poi magari ne fanno una con una classe tre con un’altra… della continuità non importa nulla a nessuno. All’università i programmi sono stati dimezzati, le ore pure, i ricercatori dovranno trovare nel tempo un nuovo modus vivendi, bisognerà trovare nuovi spazi, dato il sempre maggior numero d’iscritti… E poi quando gli studenti, esasperati per tutto quello che sta capitando al loro piccolo mondo, scendono in piazza e succede di tutto. I genitori non capiscono come mai il figlio non è andato a scuola, perché c’è ancora nell’aria quel senso di rispetto per le istituzioni: ma quando sono le istituzioni a non rispettare te e le tue esigenze? I professori si dividono, da una parte ci sono quelli che comprendono e condividono, dall’altra quelli che non possono soffrire questi quattro piccoli ribelli che non capiscono che il loro unico dovere è quello di presentarsi a lezione. Anche la gente per strada è spaccata in due schiere: se da un lato c’è chi appoggia il malumore crescente verso le troppe cose che in questo periodo non quadrano, dall’altro ci sono le persone che di vedersi le strade piene di ragazzini chiassosi e anche un po’ vandali ne hanno le tasche piene, della serie se non vi va bene la scuola trovatevi un lavoro e smettetela di intralciare il traffico per le vostre pretese assurde.
Se studiare è diventato una pretesa, se la cultura oltre ad essere un privilegio per pochi è anche un percorso così tortuoso ed intricato che passa la voglia di intraprenderlo, se ci si mettono tutti in mezzo tra i giovani e la loro giusta aspirazione al sapere allora dove andremo a finire? Cosa stiamo lasciando alle future generazioni? Cosa gli stiamo mettendo sulla strada? Un mutuo (moralmente inteso) dalle rate troppo pesanti?!
In realtà il discorso sarebbe ben più complesso e chi vive in qualche misura il mondo della scuola, anche in senso allargato come professore, ricercatore, genitore o altro, lo sa perfettamente. Ogni paio di mesi spunta una novità e inseguirle invano ha ormai sfinito tutti. Stiamo correndo il rischio di accasciarci, di mettere la volontà di opposizione all’arroganza in stand by… Ma per fortuna che ci sono i giovani che hanno ancora tanta grinta e tanta voglia di migliorare le cose. Per fortuna che ci sono gli studenti, quelli degli istituti superiori come quelli dell’università, che hanno ancora molto da dire e che non si fanno mettere un tappo in bocca da nessuno.
Per fortuna che ci sono loro che ci danno una scrollata ogni tanto e ci fanno capire che non si può sempre accettare a capo chino le imposizioni, che si deve contrattare, far sentire il proprio diniego. Loro, proprio loro con l’entusiasmo e la spensieratezza di un’età che sa donare forza, coraggio e anche un po’ di avventatezza, hanno deciso di dedicarsi un giorno, un’occasione di protesta perché le cose, come si stanno mettendo ora, proprio non vanno. E allora ben venga il corteo di protesta, non violenta ovviamente, perché quando si alzano le mani si finisce dalla parte del torto. E per una volta alziamogli tanto di cappello a queste nuove generazioni che a stare a testa bassa proprio non ci pensano, perché c’è un limite per tutto e qui si sta sfiorando anche quello del buon senso.