La prima volta che ho sentito parlare di domotica risale più o meno ad un anno e mezzo fa. Ero ancora ricoverata in ospedale ma allo stesso tempo stavo affrontando, seppur a distanza, un trasloco. La casa in cui avevo vissuto fino a quel momento non era adatta alle esigenze della mia nuova amica a quattro ruote. La data della dimissione si avvicinava, trovare una casa accessibile (oltre alla riabilitazione) era una delle prime cose a cui pensare.
Lo ammetto, l’approccio con la domotica per me non è stato dei migliori. All’epoca, tutto ciò che poteva rendere la mia nuova abitazione anche solo lontanamente simile alla stanza d’ospedale dove vivevo, oppure al bagno super accessoriato in cui avevo dovuto reimparare a lavarmi tutte le mattine, mi metteva ansia. L’idea di trasferire quella strana dimensione fatta di maniglioni, telecomandi, letti che si muovono e mobili che si alzano e si abbassano a piacimento a casa mia, non mi rendeva proprio entusiasta.
Volevo una casa nuova, un punto di riferimento, un ambiente che mi permettesse non solo di essere comoda e sentirmi a mio agio, ma allo stesso tempo libera ed indipendente. In quel periodo ignoravo che l’idea nella mia testa in realtà altro non era che uno dei concetti cardine su cui si basa la definizione di domotica: la tecnologia e l’informatica al servizio della casa; ma soprattutto, della persona che la abiterà.
A ben guardare quindi, la domotica ha cominciato a “farsi strada” all’interno delle nostre abitazioni ben prima di quanto io stessa ero abituata a pensare. Impianti basilari come quello idrico o per lo smaltimento dei rifiuti organici fanno parte delle nostre case da molto tempo ormai, così come gli impianti elettrici arrivati subito dopo. Continuare, come spesso succede, a considerare la tecnologia domotica solo come un insieme di strani marchingegni futuristici di difficile utilizzo, piuttosto che una serie di ausili elettronici riservati unicamente ad anziani e disabili non solo è sbagliato, ma sminuisce anche parecchio l’apporto che la tecnologia ha già dato e continuerà a dare al comfort delle nostre abitazioni. Insomma, non avevo fatto neanche in tempo a cominciare il mio cammino (passatemi il termine) che già incappavo in uno dei luoghi comuni più diffusi: disabile uguale brutto, triste, in linea di massima poco attraente in tutto, casa compresa. Mi sbagliavo di grosso! Il trasloco imminente mi avrebbe aiutato a capirlo.
La maggior parte delle definizioni atte ad esplicitare il significato di domotica si concentrano per lo più sull’aspetto inerente all’insieme delle tecniche e dei servizi che tendono ad integrare nelle abitazioni tutti gli automatismi in materia di sicurezza, comodità, gestione e comunicazione delle aree antropizzate della casa. L’utilizzo dell’informatica è senza dubbio la caratteristica principale di questo tipo di tecnologia, se così non fosse, sarebbe praticamente impossibile riuscire ad adattare ogni impianto alle infinite sfaccettature che caratterizzano la dimensione della disabilità. Ciononostante, quando è stato il momento di scegliere come arredare casa, nel mio caso particolare l’elettronica è servita molto meno del previsto.
Essendo in carrozzina (ma avendo comunque la possibilità di muovere completamente braccia e mani), la priorità per me era potermi muovere tranquillamente in ogni ambiente della casa, da qui ne è derivata un’attenta progettazione degli spazi; abbinata ad un adattamento ad hoc dei mobili che sono stati aggiunti in seguito. L’ambiente in cui la domotica ha fatto senza dubbio da padrone è la cucina. Le cucine pensate per essere utilizzate anche da seduti in carrozzina prima di tutto hanno la possibilità di essere regolate in altezza, questo vale per i mobiletti pensili che normalmente vengono fissati sopra il lavandino ma anche per il piano cottura o il lavello. Questi due elementi di solito vengono montati su un ripiano lasciato libero nella parte inferiore per permettere a chi li utilizza di avvicinarsi il più possibile. Per quanto riguarda le altre stanze, fatta eccezione per qualche maniglione in bagno e una pratica sedia in plastica sistemata nella doccia, non ho dovuto apportare modifiche particolari.
Insomma, a lavori conclusi, quella che doveva essere la brutta copia di una stanza d’ospedale e di un bagno superaccessoriato si era trasformata in una casa, una bella casa. Il posto da cui avrei potuto ricominciare da capo in piena libertà, anche grazie a telecomandi, maniglioni e mobili che si alzano e si abbassano a piacimento. In altre parole, anche grazie alla domotica.