Nadia Kouliatina vive in Italia da 12 anni: “Essendo siberiana, sono stata accolta a braccia aperte dal Trentino”. Il motivo di questa benevolenza immediata ha ragioni storiche: molti trentini, infatti, non hanno dimenticato i racconti dei militari che, se sono tornati vivi dai gulag lo devono in gran parte alla solidarietà delle donne siberiane. “Essere accettati bene fin da subito – prosegue la signora Kouliatina – o, ancora meglio, avere qualcuno che ti protegge in una realtà che non conosci bene è la cosa migliore”.
Appena giunta in Italia, Nadia sentiva la nostalgia della sua terra e della sua gente “Le donne che vengono qui per lavorare hanno coraggio da vendere perché non hanno un’idea precisa di quello che troveranno”. Il percorso di Nadia è stato facilitato da un insieme di fattori. Prima fra tutti la motivazione: non è venuta a Trento specificatamente per lavorare. Lavorava già in Russia per una ditta italiana quando conobbe suo marito, sempre italiano. Poi la ditta ha chiuso baracca e lei si è stabilita qui col consorte. Inizialmente, si sentiva come una mosca bianca, solo raramente incontrava suoi connazionali. Col passare del tempo però, con lo smantellamento del comunismo nei Paesi sovietici e la conseguente apertura delle frontiere, Nadia vedeva sempre più donne della sua terra qui in Italia. Era contenta di parlare con loro ma nello stesso tempo era amareggiata dal racconto delle loro vicissitudini. “Molti immigrati vengono qui per trovare una soluzione ai problemi che hanno nei loro Paesi (principalmente mancanza di lavoro retribuito decentemente – ndr) ma una volta in Italia trovano altri problemi altrettanto seri”.
Prendiamo ad esempio il caso delle cosiddette badanti. Si tratta di donne straniere che le famiglie italiane fanno venire dall’Europa orientale, con l’aiuto di specifiche agenzie di collocamento, per aiutare gli anziani a invecchiare in casa. La popolazione immigrata, specie quella femminile, trova impiego sempre più diffuso in questo settore, anche se in condizioni poco regolamentate, con scarsa tutela giuridica e insufficiente tutela sociale. La donna straniera, infatti, offre alla famiglia la “tessera mancante” dei servizi domiciliari: condivide tutte le ore del giorno, è presente di notte, tiene compagnia, è disponibile in ogni occasione. L’indiscussa utilità di questo lavoro ha addirittura convinto il Governo ad assicurargli una corsia preferenziale nella legge sull’immigrazione.
“Favorire l’integrazione delle donne immigrate in tutti i livelli socio-culturali della provincia di Trento, specialmente nei servizi di cura, rispondendo all’esigenza dell’assistenza qualificata delle famiglie trentine”. È una delle principali finalità della nascente associazione di volontariato AGORA’ formata dalle donne e per le donne immigrate di Trento. L’associazione partecipa ad un “consorzio di partner” costituito da CARITAS, ACLI, ATAS, CONSOLIDA, ISSAN e la Facoltà di Sociologia il cui scopo è quello di favorire fattivamente l’imprenditorialità delle donne immigrate. Il tutto nasce nell’ambito del progetto EQUAL, un’iniziativa comunitaria volta al superamento delle varie forme di discriminazione e di disuguaglianza nel mercato del lavoro. Nadia, conoscendo nello specifico i problemi delle donne straniere e che lavorano presso famiglie come badanti, ha deciso di impegnarsi totalmente nel progetto. “In quanto straniera, seppur con un percorso diverso, mi sento partecipe dei problemi delle donne immigrate. Bisogna fare in modo di non lasciare queste donne sole con se stesse, di dar loro delle opportunità formative e culturali”. In linea con questi obiettivi, nel corso del 2003 è stato attivato un corso di formazione per 44 donne immigrate (selezionate tra 255) nel settore di cura agli anziani. Le corsiste hanno partecipato sia alla formazione teorica (in aula) che pratica (stage presso le cooperative sociali). Lo scopo era quello di migliorare ed aumentare le capacità professionale delle badanti e quindi ampliare la loro possibilità di accesso al mercato del lavoro. La formazione e riqualificazione sono interventi di valorizzazione del bagaglio culturale e professionale di cui queste donne sono portatrici nonché strumenti di promozione verso attività più qualificate.
Bisogna dire che non tutti approvano queste soluzioni “egualitarie”. Nadia racconta che alcune donne partecipavano ai corsi di nascosto dalle famiglie presso cui già lavoravano. In effetti, maggior formazione comporta anche maggior valore sul mercato del lavoro e questo non piace ai datori più spilorci.