Donne nel mondo del lavoro: alla scoperta del “gender pay gap”

Lo sapevate che nelle Università italiane le donne rappresentano il 20% dei professori ordinari e solo il 7% dei rettori? Forse perchè ci sono meno donne laureate degli uomini? No, tutt’altro. Un’indagine “AlmaLaurea” del 2018 afferma che le donne si laureano di più e con voti più alti. Sembrerebbe un dato positivo, ma l’indagine dice anche che le stesse donne, dopo la laurea, ottengono contratti di lavoro meno vantaggiosi e guadagnano meno degli uomini. Questo dato è confermato da uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: a prescindere da titolo di studio o Nazione, le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini. In Italia, le lavoratrici guadagnano circa 3.000 euro lordi annui in meno rispetto ai lavoratori. Ora, proviamo a capire il perchè di questo divario retributivo denominato con il termine “gender pay gap”. Innanzitutto, il gender pay gap italiano è incrementato dalla minor possibilità delle donne di far carriera e dal minor accesso alle posizioni di vertice. Ad esempio, nel classico organigramma aziendale, le lavoratrici si trovano principalmente nelle funzioni di staff: amministrazione, contabilità, risorse umane, marketing, etc. Di norma, questo tipo di occupazioni, per quanto indispensabili, sono meno retribuite rispetto alle “funzioni di linea” che occupano le posizioni di vertice. Ma non si pensi che le donne guadagnino meno solo perché svolgono lavori meno retribuiti. A tutti i livelli professionali, le donne sono pagate meno e, paradossalmente, il divario cresce più la qualifica professionale e il titolo di studio sono alti. Secondo il “Gender Gap Report 2020”, la differenza salariale annuale tra lavoratrici laureate e lavoratrici diplomate è di 8.000 euro, mentre per lavoratori uomini, alle stesse condizioni, è di 17.000. Quindi, anche quando una donna riesce ad arrivare al vertice, non sarà retribuita come un uomo nella stessa posizione. Tuttavia, bisogna precisare che nel settore pubblico il divario è meno marcato, grazie a maggiori garanzie di parità: il 32% dei dirigenti nel settore statale sono donne, mentre in quello privato sono il 26%. 

Tuttavia, le “quote rosa” non possono certo sancire una reale uguaglianza tra donne e uomini nel mondo del lavoro. Ci sono molteplici elementi alla radice di questo divario, e hanno a che fare soprattutto con la centralità della donna nella gestione familiare. I dati mostrano, infatti, che le donne prendono più periodi di assenza dal lavoro per prendersi cura di genitori anziani o dei figli. Questi aspetti incidono drasticamente sulla loro retribuzione e sulla possibilità di fare carriera. Per questo, le nuove leggi europee a favore delle pari opportunità stanno agendo soprattutto in ambito di politiche familiari e di “work – life balance”; ad esempio, incoraggiando un’equa ripartizione del congedo parentale tra uomini e donne. Insomma, se è vero che il divario salariale uomo-donna è marcato, è anche vero che l’intenzione di colmarlo sembra essere sempre più forte.

 

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