Questa storia è una storia di lotta e di generosità. La lotta per la propria vita, la generosità nel donarsi agli altri e l’impegno verso un’associazione. In tutto questo mi viene da domandarmi:
« Dov’è giustizia? »
Lui è un mio paziente che è stato aggredito da una “brutta bestia”. (Ne rispettiamo l’anonimato in un momento così delicato della sua vita)
“Lei” è l’associazione Rainbow.org, eppure questi due soggetti sono legati a doppio filo.
L’ingiustizia della vita porta ad esprimere, però, un senso di rabbia perché non importa quanto Lui abbia contribuito alla sopravvivenza di tantissimi bambini in Kenya, “la bestia” lo sta divorando lo stesso.
Alle volte, alcune mie colleghe più sensibili non riescono proprio ad entrare nella sua camera di degenza, hanno gli occhi velati di lacrime quando Lui ti dice:
« Quando guarisco? » Oppure anche: « Non vi capita mai di sbagliarvi ed iniettare qualcos’altro di tipo letale? Perché il passar del tempo in queste condizioni mi logora…»
Capita poi che tra una flebo e un’ endovena Lui racconti dell’Associazione Rainbow e allora ci si ferma e si ascolta rapiti.
« Nel 1995 la signora Dee Knott, un’infermiera che proveniva dal Newcastle, in Inghilterra, decise di fermarsi in Kenya per realizzare un importante progetto d’aiuto per la popolazione povera delle zone a nord di Malindi, che prevedeva la creazione di un ospedale, una scuola e un orfanotrofio.
Nel 1998 il dott. Enrico Ferreri, che in quegli anni ricopriva l’incarico di medico di base di Mondovì Carassone, incontrando la signora Knott, decise di aiutare a sviluppare questo progetto umanitario tramite l’ACLI del Monregalese. Gradualmente coinvolse nell’iniziativa anche alcuni amici, tra i quali c’ero anch’io e da allora ci rechiamo periodicamente in Kenya per aiutare la Comunità. Poi nel 2002 abbiamo incrementato lo sviluppo della comunità progettando e realizzando le “adozioni a distanza”. »
Si rimane a bocca aperta nel sentirlo parlare con tanta semplicità, con tanta modestia, di un’attività così importante e vitale per altri esseri umani.
L’altro giorno le sue vene erano un po’ capricciose e abbiamo dovuto bucarlo più volte per poter fare la terapia, poi malgrado tutto, Lui e la moglie ci raccontano ancora: « Sapete siamo stati costretti a chiudere la scuola materna e quella elementare in Kibokoni, perché era difficile gestirle dall’Italia, poi abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi e investire le nostre energie unicamente nell’orfanotrofio e nel piccolo ospedale. »
Ieri invece, Lui non se la sentiva proprio: un po’ di magone, un po’ d’astenia lo hanno costretto a letto tutto il giorno; a raccontare è stata la moglie: « Tutti i nostri sforzi sono concentrati nella gestione dell’orfanotrofio, diciamoci la verità, in kenya, come in tantissimi stati poveri, i bambini disabili vengono abbandonati a se stessi, vengono lasciati morire, anche molti bambini sani vengono abbandonati, oppure sono orfani o inviati dal Governo per impossibilità di restare nelle famiglie di origine e attualmente sono ospitati circa 90 bambini. Noi abbiamo salvato idrocefali, focomelici affetti da rachitismo… Li sfamiamo, li vestiamo e poi ci accorgiamo, commuovendoci, che hanno fame di coccole, di carezze, di tenerezza! Ci piace pensare, unitamente agli altri amici dell’associazione – ha concluso la signora – che questo nostro piccolissimo contributo sia volto ad insegnare ai futuri uomini la tolleranza civile e religiosa. Insegnare loro, già dai primi anni della vita, l’amore, conoscendosi ed accettandosi pur nelle diversità fisiche, etniche e religiose. »
Chiudiamo la porta, Lui adesso dorme… mi viene da chiedere: dov’è la giustizia per gli uomini che nella loro esistenza si sono sempre battuti per gli altri?