Due splendidi destini

Data: 01/12/15

Rivista: dicembre 2015

Due attentati in meno di un anno…e no! Non stiamo parlando di Beirut, Baghdad o Islamabad, ma di Parigi, la capitale d’Europa, meta delle gite scolastiche dei nostri figli e dei viaggi premio delle raccolte a punti.

Dalla sera del 13 novembre, dopo gli attacchi terroristici al Bataclan e allo Stadio di Francia, qualcosa dentro di noi si è spezzato per sempre ed è iniziato il tempo delle lacrime, delle recriminazioni, dei sospetti, ma forse anche quello della riflessione, della condivisione, del tentativo di comprendere eventi che non si possono spiegare né tollerare.

In queste ore drammatiche mi è tornato in mente il romanzo Due splendidi destini (Piemme, 2015), della pediatra statunitense di origine afgana Nadia Hashimi. È la struggente storia di Rahima, che in quanto ultimogenita in una famiglia composta di sole figlie femmine deve vestirsi da maschio per poter fare cose altrimenti vietate, come andare al mercato o a scuola.

È il ritratto di una famiglia unita, piegata dalla guerra e dalla povertà e di bambini cresciuti tra le macerie, che si chiedono come sia possibile che l’Occidente si mobiliti per un attentato a un solo edificio, quando la loro città è stata completamente rasa al suolo e sulle pareti delle loro camerette anziché i disegni ci sono i buchi di proiettile, di bambini che abbiamo bisogno di vedere stesi su una spiaggia con una maglietta rossa per accorgerci della loro esistenza, di bambini la cui morte rimbalza sui media meno di quella di un cane poliziotto.

 È la biografia inventata ma verosimile di una ragazza che si ribella al signore della guerra che l’ha presa in moglie, guidata dall’esempio di due donne forti: la zia Shaima e la leggendaria bisnonna Bibi Shekiba. La prima è gobba e artritica, la seconda, più bella delle concubine del re, è rimasta sfigurata a seguito di un incidente con l’olio bollente.

Queste caratteristiche fanno di loro due donne “sbagliate”, inadatte al matrimonio e quindi inutili in quanto incapaci di adempiere all’unico ruolo che la società ha previsto per loro. Eppure sarà proprio nell’emarginazione che troveranno il coraggio di emanciparsi, facendosi scudo dei loro difetti fisici per raggiungere un’indipendenza alle altre donne negata.

Nadia Hashimi affronta con sensibilità e maestria tematiche molto diverse tra loro, ma in realtà strettamente correlate come la violenza sulle donne e l’alone di superstizione ed emarginazione che ruota intorno ai disabili nei Paesi poveri, in un romanzo che scava fino a trovare le radici profonde del terrorismo e la formula per estirparle. Un quadro vivido e straziante di cui mai come in questo momento storico tutti dovremmo fare tesoro, perché ci insegna che nella vita si può perdere tutto, ma non l’umanità e la speranza di cambiare il corso del destino!

 

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