E il vecchietto dove lo metto?

Data: 01/02/01

Rivista: febbraio 2001

Si è fatto un gran discutere in questi mesi di anziani, case di riposo, rette, qualità dell’assistenza, RSA, ecc. anche con toni notevolmente polemici.

Decidiamo di occuparcene anche noi perché troppo spesso la vecchiaia è sinonimo di grande disagio sia fisico che esistenziale e, per farlo, chiediamo un incontro al dottor Giancarlo Lunelli presidente della Spes (Servizi Pastorali Educativi Sociali), una cooperativa legata all’Azione Cattolica che gestisce in via Borsieri la Casa Famiglia (56 posti letto), a Villazzano Villa Belfonte (74) e, da maggio prossimo, Villa Alpina a Pinè (nella foto con 65) per un totale di quasi 200 posti sui 4.100 disponibili in provincia.

Appuntamento alle 18 e subito via alla chiacchierata. Come premessa ci dice che l’anziano dovrebbe restare il più possibile in casa propria perché lì ha i suoi riferimenti, lì è tra i suoi affetti e lì è sempre vissuto. I centri diurni di accoglienza come Gardolo potrebbero costituire una soluzione poco praticabile come possibile alternativa al ricovero sia per la gravità delle situazioni che per l’impegno che per i familiari comporta l’accompagnamento e il riaccompagnamento quotidiano.

Lunelli: «Il limite di fondo al mantenimento dell’anziano in casa sua è il costo: un’assistenza domiciliare benfatta e prolungata raggiunge cifre esorbitanti. Ad esempio le cooperative di cui si serve il comune costano sulle 30-32 mila/ora mentre il costo del suo servizio diretto é ancora superiore. E’ chiaro che 8 ore di assistenza ad un anziano in casa a oltre 30 mila/ora raggiungono livelli insopportabili. In ogni caso il ricovero in casa di riposo deve essere il passo estremo quando il suo bisogno di assistenza oltrepassa la capacità dei congiunti di darla».

Chiediamo: La Giunta provinciale ha predisposto un progetto in due direzioni: uno, prevede di ricoverare solo anziani non autosufficienti, l’altro di invogliare i famigliari ad assistere in casa il congiunto il più possibile. Nella stessa direzione spinge lo Stato con vari provvedimenti a favore di chi assiste anziani o congiunti disabili gravi in casa. Può essere una soluzione questa? «E’ buona l’idea di aiutare le famiglie che tengono in casa il congiunto handicappato o non autosufficiente. Si tratta di vedere però fino a che punto questa strada è praticabile. Oltre un certo stadio di gravità, sia in termini di impegno che di cure, non si può andare: se l’anziano necessita di prelievi, ossigeno, applicazioni mediche oppure non è assolutamente capace di intendere, se insomma ha bisogno di una presenza di 24 ore su 24 non ci sono alternative al ricovero.

La cura di un anziano in casa è affaticante, senza aiuto è difficile affrontarla bene e si corre il rischio di spezzare l’equilibrio familiare. L’anziano, man mano che vede crescere i suoi bisogni, tende a chiudersi in se stesso diventando più egoista. E’ un processo naturale, diventa di una grande pesantezza, quasi insopportabile e allora non rimane che la soluzione del ricovero».

Facciamo presente a Lunelli che, stando a dati della Questura, ben 300 donne dell’est Europa lavorano a Trento nell’assistenza ad anziani. È una buona strada? Risponde: «Certo, ognuno fa i suoi calcoli: se la retta viene sul 1.900.000 – 2.200.000 e se l’extracomunitaria mi costa 1.500.000 tutto compreso, è chiaro che ci penso! Con i soldi della pensione, un po’ dalla Provincia e dallo Stato chiunque può dire: ci penso io! Credo sia un discorso praticabile ed è già di fatto praticato in molti casi.

C’è anche da ricordare che è in fase iniziale l’assistenza integrata: Osa, infermieri, medico, fisioterapista garantiscono interventi sia al bisogno che programmati; l’assistenza domiciliare garantisce al massimo 4 ore al giorno e quindi delle ore rimanenti devono farsi carico i familiari.

Si finirà per garantire solo quelli praticabili entro un certo margine di spesa oltre la quale bisognerà forzatamente ricorrere alle case di riposo che finiranno per ospitare esclusivamente non autosufficienti con familiari in qualche modo non più in grado di accudirli. Questo momento però deve venire il più tardi possibile: in altre regioni la filosofia delle Residenze Sanitarie Assistenziali è impostata sul rientro dell’anziano nella propria abitazione. Da noi attualmente il 95 % e oltre di chi entra, rimane».

Dottor Lunelli, siamo alla vigilia della trasformazione delle attuali case di riposo in RSA, fatto che implica un cambiamento di fondo nel modo di pensare l’assistenza agli anziani: più attenzione all’ospite come persona che come ricoverato, equilibrio tra orientamento sociale e sanitario, collaborazione con la rete dei familiari, sostegno agli operatori, più spazio al volontariato. Sul piano pratico cosa significa?</p>

«L’avvio delle RSA in provincia è avvenuto lo scorso anno mediante l’accreditamento provvisorio di tutte le Case di Riposo esistenti. E’ un fatto molto significativo nell’evoluzione della politica di assistenza all’anziano in quanto viene introdotta con maggior evidenza un’assistenza medico – infermieristico – riabilitativa che tende a dare un intervento più completo all’anziano cercando di evitare il più possibile i ricoveri ospedalieri. Per soddisfare a tali esigenze viene introdotto il sistema dell’accreditamento per ottenere il quale le e case di riposo dovranno avere dei requisiti strutturali e organizzativi. Gli anni prossimi saranno dedicati al rammodernamento di molte strutture esistenti, alla riorganizzazione delle stesse ed alla ricerca definitiva della precisa funzione delle RSA.

Sarà un impegno notevole sia sotto il profilo dell’adeguamento delle risorse umane che da quello finanziario. Lo stesso Comune di Trento sta definendo un piano di posti letto sulla città d’intesa con la Provincia.

Noi come Spes stiamo cercando una soluzione per via Borsieri in quanto inadeguata strutturalmente. I 56 posti esitenti sono indispensabili alla città. Ci prepariamo ad aprire a maggio una casa in Pinè, Villa Alpina, pensata già con tutti i requisiti di RSA. Ospiterà 65 anziani, di cui solo una decina autosufficienti, in 44 stanze di cui 24 singole. La qualità della residenza è ottima: sala da pranzo, sala per animazione, cappella, palestra, sala multiuso, ambulatori e un’area dove sarà possibile ospitare temporaneamente anziani. Circa 50 gli addetti al funzionamento della casa. Abbiamo preso 1 miliardo e 700 milioni dalla Provincia per l’arredamento, circa il 90% del totale mentre il 10 % lo mettiamo noi. Per completare l’opera serviranno almeno ancora 800/900 milioni. Può sembrare poco ma in realtà sono costi enormi».

Ipotizzando lo 0,9% di non autosufficienti sul totale della popolazione, a Trento sono 900 persone circa, ci sono letti per tutti? Lunelli fa un pò di conti sul retro di una busta sommando i posti di Villazzano, Povo, Gardolo, Trento attuali e quelli in previsione ed arriva a quella cifra. «Si, afferma, con questi posti la domanda in città potrebbe essere coperta».

Facciamo notare che il costo delle degenze sembra essere un punto centrale del problema. Chi li stabilisce ed in base a cosa?

«I costi per degente venivano stabiliti tramite la scheda BINA (Breve Indice di Non Autosufficienza), approvato dalla Giunta Andreotti nel 1998 con la delibera 1670. Detta i criteri che definiscono chi è da considerare non autosufficiente e di che livello. Prima un anziano veniva classificato o autosufficiente o non autosufficiente: i finanziamenti erano solo per quest’ultimo mentre il primo rimaneva escluso. Si decise allora di introdurre la scheda BINA per valutare il tempo richiesto da ogni anziano per essere accudito ed in base ad esso quantificare il finanziamento. Prevede 4 livelli di non autosufficienza in relazione a vari fattori inerenti allo stato socio – sanitario che determinano un punteggio in base al quale l’Azienda Sanitaria paga. Dopo 2 anni ci siamo accorti che tale tipo di valutazione aveva dei limiti. In luogo di procedere ad una rettifica si è preferito sostituire il sistema di finanziamento precedente con quello attuale che considera unicamente il numero dei posti letto per non autosufficienti».

Quanto costa, quanto paga e chi paga eventualmente per ogni degente? «Il costo di degenza si compone di due parti, quello sanitario e quello alberghiero: il primo è a carico della Provincia che opera a mezzo dell’Azienda Sanitaria il secondo del degente. Il non autosufficiente costa sulle 65-70 mila lire al giorno di retta alberghiera sulla città di Trento (vitto, alloggio, biancheria) oltre 100 mila lire circa in media per assistenza generica, infermieristica, medica e fisioterapica: in totale 165-170 mila.

Se il reddito dell’ospite supera i due milioni non ci sono problemi. Se invece non ce la fa interviene il Comune che, valutata la situazione economica e patrimoniale, incamera i suoi redditi, quasi sempre la pensione e li gira alla direzione della casa di riposo aggiungendovi la differenza. Gli lascia in ogni caso 150 o 230 mila al mese per le sue spese a seconda dei casi.

Ad esempio: se uno ha un milione e duecento mila e la retta viene due milioni, il Comune interviene con 800 mila più le 150 o 230 che lascia all’anziano cercando di rivalersi poi sui parenti fino al secondo – terzo grado. La rivalsa sui parenti è variabile a seconda del reddito e del grado di parentela.

Bisognerebbe distinguere anche tra l’anziano semplicemente non autosufficiente e il lungo degente bisognoso di cure ospedaliere. I posti per questi ultimi negli ospedali trentini sono scesi in 10 anni da 370 a 257 perché il costo per posto letto è sulle 400 – 600 mila contro le 180 mila delle case di riposo».

Per concludere la chiacchierata, buttiamo lì a Lunelli una domanda “antipatica”: Cosa può dirci delle vicende travagliate della casa di Via Veneto? «Secondo me può essere mancato un dialogo tra dirigenza e familiari che ha acuito i problemi portandoli spesso all’esasperazione. Noi cerchiamo di coinvolgere il più possibile i familiari degli ospiti ma la risposta non è sempre compartecipativa nel senso di una stretta collaborazione con la Casa nell’interesse del proprio congiunto.

Non è possibile generalizzare perché le situazioni sono molto diversificate: c’è chi collabora, c’è chi è presente di rado con l’ospite, c’è chi ha un atteggiamento esigente senza dare collaborazione, ma si deve tener conto che ci sono ospiti anche senza nessuno, ecc.».

Ultimissima domanda: Secondo lei il personale é troppo, giusto o scarso? «Dipende da quello che si vuole. Ad esempio, adottando i parametri provinciali per fare un buon servizio mi sembra che siamo un po’ tirati. Infatti se dovessimo adottare taluni parametri svizzeri noi dovremmo aumentare di alcune unità il personale infermieristico e assitenziale».

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