La scorsa primavera avrete certamente seguito allarmati le vicende della polmonite atipica, la SARS, con il continuo accavallarsi di notizie, provenienti dai focolai dell’estremo Oriente, ora incoraggianti all’annuncio della sua messa sotto controllo ora pessimistiche all’ammissione delle autorità di non potere nulla.
Non è un fenomeno nuovo questo dell’improvvisa e rapida diffusione planetaria di epidemie e già nel numero dello scorso aprile avevamo segnalato come “da leggere” un libro dedicato ad una di queste che a partire dal 1348 uccise 20 milioni di europei su 60 (nulla si sa di altre parti del mondo). Lo avevamo consigliato non per spaventare i lettori bensì per mostrare come un’epidemia di rapida diffusione e di grandi dimensioni possa sovvertire la convivenza quotidiana fino a stravolgere ogni rapporto sociale e perfino familiare. A qualcuno la data 1348 sarà sembrata preistoria, avrà pensato ad un evento tipico di quei secoli bui dominati da fatalismo religioso e dalla superstizione, si sarà detto che ai tempi moderni simili catastrofi non sono più possibili.
Naturalmente non è così e tanto a titolo di esempio, basti ricordare l’epidemia di colera che imperversò in Regione verso il 1855 portata, pare, da un commerciante veronese di bestiame: ben 6.200 i morti! Oppure si pensi alla tristemente nota anche se quasi dimenticata Spagnola, un’epidemia terribile che quest’anno compie giusto 85 anni. In sei-sette mesi a cavallo tra il 1918 – 19 uccise direttamente 20 milioni di esseri umani in Europa e nel resto del mondo (altrettanti per cause collegate) a fronte dei “soli” 10 milioni lasciati sul campo dalla appena conclusa prima guerra mondiale.
Come la peste nera del 1348, anche la Spagnola apparve improvvisamente agli inizi del 1918 senza destare particolari allarmi, si attenuò durante l’estate per ricomparire con tutta la sua virulenza nell’autunno dello stesso anno. Ecco la sua genesi in un susseguirsi di date:
Gennaio 1918. Siamo al quinto anno della Prima Guerra mondiale. La popolazione europea è indebolita per la denutrizione.
Febbraio 1918. Arriva da Madrid la notizia di una “strana forma di malattia a carattere epidemico” comparsa in Spagna. È definita di carattere benigno perché non causa la morte degli infettati: dopo tre giorni si è guariti. I sintomi: corpo indolenzito, dolore dietro a occhi ed orecchi, febbre alta, torpore ed una patina giallastra sulla lingua. La malattia in realtà è già presente in altri Paesi europei coinvolti nella prima guerra mondialeG. ma la censura sui giornali impedisce al pubblico di venirne a conoscenza.
Marzo 1918. La malattia viene rilevata in Kansas, uno stato nel centro degli USA, a 9 mila chilometri dalla Spagna. Laggiù viene battezzata ufficialmente “Spagnola” (ma anche “febbre dei tre giorni”) perché la prima segnalazione della sua comparsa era pervenuta, come abbiamo visto, proprio da quel Paese. Migliaia di reclute sono contagiate nelle camerate ma il decorso positivo non allarma nessuno.
Aprile 1918. L’epidemia, forse portata proprio dai militari americani, divampa in Francia. Soldati francesi ed inglesi catturati dai tedeschi la diffondono in Germania e nel resto del continente ma anche i paesi neutrali, Svizzera e Scandinavia vengono raggiunti. Notizie della malattia arrivano fino dalla lontanissima India e dai territori dell’estremo nord canadese.
Maggio 1918. I soldati costretti a vivere a stretto contatto l’un con l’altro facilitano la diffusione della Spagnola tra le truppe: 10.000 marinai ammalati impediscono per più di 15 giorni a Re Giorgio V d’Inghilterra di prendere il largo mentre, sull’altro fronte, Ludendorff, alle prese con i piani di una disperata controffensiva tedesca contro francesi ed inglesi, mette la “febbre delle Fiandre” tra le prime ipotesi di un suo possibile fallimento.
Giugno-luglio 1918. Arriva l’estate e la malattia si assopisce forse favorita da migliori condizioni climatiche e alimentari: la guerra può continuare!
Fine agosto 1918. Ricompaiono focolai di epidemia in posti lontanissimi fra loro: Francia, Stati Uniti, Sierra Leone (Africa) ancora senza destare particolari preoccupazioni.
Settembre 1918. A Boston, Stati Uniti, una parata a sostegno dei giovani americani schierati sul fonte europeo, diffonde il virus tra la popolazione. L’otto dello stesso mese i primi tre decessi attribuiti ufficialmente all’influenza.
Fine settembre 1918. La Spagnola si diffonde inarrestabile ed inizia l’ecatombe. Una volta infettati, la morte sopraggiunge in pochi giorni senza possibilità di cura alcuna. La facilità di spostamento della gente, la fame e la miseria, i militari in licenza ed il ritorno dei feriti portano in tutta Europa i germi. Negli Stati Uniti, a fine di settembre, l’epidemia imperversa con tale violenza da riempire di cadaveri le camere mortuarie di alcuni ospedali. Fortunato chi è stato colpito dalla Spagnola nel periodo primaverile: ora è immunizzato contro il letale ritorno della malattia, al contrario (pare), di chi è stato contagiato nei mesi scorsi dalla SARS.
Ottobre-dicembre 1918. In novembre finisce la prima guerra mondiale e la Spagnola raggiunge la fase più acuta: i morti si contano ormai a milioni. Nelle grandi città la gente porta una mascherina sul volto per non essere contagiata ed evita il più possibile il contatto con gli altri, proprio come durante la peste del 1348. A Torino si registrano fino a 400 morti al giorno ma quasi nessuno lo sa perché la ferrea censura militare impedisce la pubblicazione di qualsiasi notizia in merito. In alcuni paesi della nostra provincia scompaiono intere classi di età.
Gennaio-giugno 1919. L’epidemia si spegne. La paura dei contatti e la miseria seminata a piene mani dal conflitto, causano la caduta verticale della la natalità in tutto il mondo.
Anche la SARS avrà un ritorno di fiamma in autunno? Pare di no, la stessa OMS ci ha rassicurato sulla sconfitta del virus ma certe notizie dall’oriente ci mettono sul chi va là… vedremo!
Willy La Ferla