Fabio Bucciarelli: una mostra per la tutela dei diritti umani

Data: 01/02/13

Rivista: febbraio 2013

Nascosti in Trentino gli scatti di Fabio Bucciarelli sono custoditi dalle galleria di Piedicastello: “Evidence” è il titolo della sua mostra personale.

Ma di chi si tratta? Lui è un giovane fotoreporter torinese, inviato de La Stampa, del Il Fatto Quotidiano e collaboratore delle più importanti testate internazionali: ha la scomoda caratteristica di raccogliere testimonianze sporcandosi le mani.

Ripercorrendo la carriera di Bucciarelli si ha l’impressione di aver a che fare con un personaggio fuori dalla norma: un individuo inquieto che, lasciando delle sicurezze che la laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni avrebbe potuto offrirgli, ha preferito girare il mondo per essere osservatore diretto degli effetti dei conflitti sui civili contribuendo così, con l’informazione attiva, alla tutela dei diritti umani.

Il risultato visibile agli spettatori?

Sono 70 foto che testimoniano i combattimenti nelle zone attualmente considerate più calde del mondo: Iran, Birmania, Sud Sudan, Siria e Libia.

Un vero peccato che una denuncia tanto forte sia relegata nel grembo del Dos Trento, quasi a renderla innocua, circondata dal ben più frivolo, per quanto curato e ben allestito, excursus storico sullo sci: assolutamente consigliato per gli appassionati!

Sono fotografie di un’immediatezza spiazzante: quasi definibili “belle” non fosse che sembrerebbe inopportuno tale aggettivo visto che sangue, distruzione, macerie e guerre la fan da padrona.

Lo spettatore è schiaffeggiato dalle immagini per tutti e cinque i reportage mostrati: non si arriva all’emozione attraverso lo splatter ma proponendo al pubblico una quotidianità che ha dell’incredibile.

Il dolore è colto e mostrato senza filtri come quello dei genitori che abbracciano corpicini di figli privi di vita, all’atmosfera quasi fiabesca e decadente.

Come l’anziana signora siriana che lentamente incede, con tanto di borse della spesa, nella “via dei cecchini” di Aleppo, una strada della città vecchia costellata di macerie, fori di proiettili e ruderi.

O ancora l’obbiettivo di Bucciarelli ha catturato un guerrigliero del Free Syrian Army (FSA) sul quel che resta di un’abitazione mentre lancia un RPG contro le postazioni dell’esercito di Assad, sempre ad Aleppo.

Altri scatti hanno il sapore dello scoop, come l’immagine del corpo di Gheddafi, colto il giorno stesso della sua morte che Bucciarelli, dirà in un’intervista, aveva saputo esser stato portato fuori da Misurata.

Talvolta il contesto rimane in secondo piano: come le protesi di fattura artigianale di Seiw Haina e Daw Lath Tiw, unico soggetto di uno scatto che non riprende i volti di queste due persone, la cui didascalia spiega che hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo messe dall’esercito birmano nel Karen State.

Ogni scatto offre allo spettatore tutti gli elementi per capire il contesto. Ulteriori informazioni, laconiche e sufficienti, sono date dalla targhetta: luogo e soggetto. Breve. Non serve altro: è l’immagine che parla, anzi urla.

L’allestimento, arioso immediato, propone le foto divise a seconda dei paesi d’appartenenza: i protagonisti sono i civili, la guerra e la quotidianità.

Fabio Bucciarelli “cammina nel mondo”, “s’immerge nella storia” e non solo: prende parte a quel processo di memorizzazione storica che, senza testimoni come lui, renderebbe vani gli scontri perché se non c’è osservazione diretta si può dubitare del reale accadimento dei fatti. Necessaria si rivela, quindi, la documentazione di questi eventi per la memoria e la coscienza della società civile.

Per approfondimenti segnalo un libro del fotoreporter: Fabio Bucciarelli, L’odore della guerra, Aliberti Editore 2012

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