È oramai nota da tempo l’amicizia di Prodigio con il Baricentro (locale in piazza Venezia a Trento), ed altrettanto conosciuti ai nostri lettori sono gli eventi ospitati in questa sede. Tra i tanti non manca mai, mensilmente, l’esposizione di una mostra d’arte visiva delle giovani promesse locali.
Fra i vari artisti passati su queste pareti che ho avuto modo di conoscere, uno in particolare ha colpito la mia attenzione: si tratta del pittore Federico Scarpinato, che a soli 22 anni si è dimostrato capace di sottoporre qualcosa di interessante e valido all’appetito saziato solo dalla novità. Viviamo in un decennio non facile per l’arte. Molto, se non tutto, è già stato tentato eppure, incuranti di questo fatto, sempre più animi si accostano al difficile ramo del saper creare, sommergendo la nostra vita di un sempre più alto numero di banalità e ridondanza.
L’espressività è intrinseca all’uomo, diranno alcuni. La mia opinione è che all’uomo appartiene la volontà di voler arrogantemente essere a tutti i costi capace. Non vi è dubbio che in ogni individuo si può celare l’abilità di un artista; ma questo non è un presupposto sufficiente per far di ognuno di noi un nuovo Delacroix.
L’arte è per gli intrepidi. È per chi osa ogni giorno esporre tutto attraverso la sua disciplina, che sia musica, canto, ballo o pittura ed a prescindere dal livello di maestria padroneggiato. Significa muovere se stessi verso il limite del non ritorno al fine di comunicare quanto più possibile. In questo consiste, in esso il suo grande compito. E Federico arriva a trasmettermelo. Attraverso i suoi dipinti vedo quella che può essere l’insicurezza di un ragazzo. Il desiderio di saper trovare un posto in un mondo attanagliato da regole ed imposizioni, dove ogni legame può rivelarsi infine pericoloso. La paura del seguire una passione. Una vera passione, non un semplice passatempo. Bensì la forte azione di uno, contro la pressione posta dall’economia di mercato che governa ogni spettacolo. Quando l’ho conosciuto, alcune sue dichiarazioni mi colpirono profondamente. Pensieri come: “quando termino un quadro mi dispiace, adoro la sensazione che precede la fine, perché in essa trovo molto più significato che non nell’atto compiuto” oppure “ammiro Gauguin, come lui non mi baso troppo sulla natura, ma su quanto sia importante esprimere qualcosa di interiore. All’inizio dipingevo sogni, luoghi di rifugio, seconde coscienze. Eppure momenti ricchi di debolezze.”
Non sono un critico d’arte capace di affermare un vero giudizio su questi quadri. Pertanto lascio a voi lettori la scelta della decisione sulla bontà dei suoi lavori. Eppure vi invito ad osservare e riflettere su queste immagini dai forti richiami neoespressionisti e velatamente naif, di forte sapore antiaccademico.