Fine vita: un aiuto speciale e qualche regola

Data: 20/12/22

Rivista: dicembre 2022

Nel numero scorso avevamo iniziato a parlare di persone senza alcuna autonomia funzionale. L’occasione ce l’avevano offerta Federico Carboni e la sua battaglia per vedersi riconosciuto il diritto legale di morire: l’eutanasia. Poi, girovagando per il web, ecco la storia di Shanti De Corte, ventitreenne sopravvissuta all’attentato dell’Isis a Bruxelles nel 2016, che aveva scelto l’eutanasia per sconfiggere definitivamente la sua sconfinata ed irreversibile depressione. Già affetta da problemi psicologici prima dell’attacco, Shanti non era poi riuscita a superare il trauma generato dall’attentato. Lo raccontava lei stessa sui social, dove scriveva quotidianamente dei suoi attacchi di panico e depressione: “Mi sveglio e prendo medicine a colazione, poi fino a undici antidepressivi al giorno. Senza non posso vivere, ma con tutte queste pastiglie non provo più niente, sono un fantasma”, scriveva in un post. Una situazione sempre più grave, che l’aveva spinta nel 2020 a tentare il suicidio. Poi non le rimase che l’eutanasia in un Paese, il Belgio, che ha una tra le legislazioni più aperte al mondo sul fine vita. Il 7 maggio scorso Shanti ha messo termine alla propria vita. “È stata una vita di risate e lacrime, fino all’ultimo giorno. Ho amato e mi è stato concesso di sapere cos’è il vero amore. Me ne vado in pace. Sappiate che già mi mancate”, il suo ultimo messaggio. Il caso ha suscitato scalpore, anche per le opinioni contrastanti. Il neurologo dell’ospedale dove la giovane era in cura sosteneva che l’eutanasia non avrebbe dovuto essere autorizzata perché c’erano molte altre opzioni terapeutiche. La Commissione federale responsabile del controllo, invece, ribadendo il pieno rispetto della legge vigente, faceva presente che la ragazza “era in un tale stato di sofferenza mentale che rendeva pertanto logico accettare la sua domanda”. Si mette ai voti: il “sì” vince, cioè vince l’eutanasia di una ventitreenne forse curabile con altre terapie (forse). Sì, avete letto bene: eutanasia a maggioranza.

Ricordiamo qui i tanti altri che hanno deciso di andarsene senza far rumore, vedi Daniele, sia che lo desiderino, vedi Giordano, in ogni istante ma sono assolutamente privi dell’energia necessaria. Era stato così, in sostanziale somiglianza, nella scorsa estate anche per Carboni.   La Suprema Corte cui si era rivolto per render nullo il reato di “omicidio del consenziente” accolse la sua obiezione, primo ed unico caso in Italia. Impose però alcune regole generali: che il richiedente aiuto a morire fosse affetto da una condizione irreversibile, da sofferenze insopportabili e refrattarie a qualsiasi cura, e capace di prendere decisioni autonome. Situazioni vaghe e, forse, così larghe da essere rimesse al giudizio di una commissione che burocraticamente avrebbe emesso il suo Verdetto: sì o no! Tertium non datur!

Ma… è tutto qui? Eh no, stabilito un principio generale, qualche considerazione va fatta: era del tutto inevitabile? Qual era la qualità della sua vita? Toccava solo a lui decidere? Aveva un supporto adeguato da parte delle Istituzioni? È un’estrema forma di egoismo di chi vuole i titoli di coda senza penar troppo? Chi lo assisteva, s’è stancato e gli ha indicato quella strada? E se ci fosse una dichiarazione di comodo (tranquilli…. ci saran anche quelle) della commissione? Verrà consigliata dopo una certa età? E se uno non fosse in grado di esprimere una propria volontà? Suicidiamo tutti quelli che lo richiedono? C’è un’eredità da sistemare? Arriveremo a renderlo obbligatorio?

Ma voi lo sapevate che in presenza di gravissimi ed irreversibili danni neurologici, gli ospedali fanno una prima scrematura dei casi (evitano il cosiddetto “accanimento terapeutico”) per non creare disabili a bizzeffe incurabili a vita? Per farvi scervellare ancora un po’, riportiamo qui di seguito i risultati del solito esperimento inglese. Prevedeva che un gruppo di persone senza alcuna autosufficienza personale fosse messa in condizione di eutanasia: con la mano, il naso o qualsiasi altra parte del corpo bastava toccare un lieve pulsante per innescare il meccanismo. Ebbene su venti che avevano inizialmente detto ‘sì’, ben 18 non se la sentirono di fare l’ultimo passo! Proprio così: solo il 10% (vi risparmio il conto: 2!) disse ‘sì’ fino alle estreme conseguenze. Che dire? Forse che erano chiacchiere in libertà? Un disperato grido di attenzione verso se stessi? La paura del “vacuum”, il niente assoluto prima e dopo noi? Sapevate che, fatte le opportune proiezioni, ci saranno un po’ più di novecento mila anziani incapaci  di “intendere e volere” e “fisicamente non-autosufficienti” su 520 mila posti scarsi disponibili in case di riposo? Quella differenza necessità/disponibilità è solo questione di sedazione profonda prima di arrivare all’eutanasia?

Obiezione: Nessuno si presterebbe ad un omicidio! Sicuri? alla domanda “lavoreresti in un servizio di eutanasia e suicidio assistito?”, le risposte positive sono state del 40%, il 30% era indeciso e il restante 25% in disaccordo. Dunque, se più di un quarto era contrario, oltre un terzo eran d’accordo.

Tante domande con poche o forse nessuna risposta! La Corte Suprema non poteva legiferare, non è il suo compito: solo un Parlamento nell’interezza delle sue funzioni può far scelte riguardanti ognuno in generale e non nel suo particolare. Quello attuale ha detto di voler agire per conto di tutti gli Italiani: quale miglior occasione di questa? Cosa aspetta a muoversi? Che ci sia un caso eclatante da prime pagine dei media con talk di esperti, seminari, conferenze, cardinali come quando toccò a Welby? Per favore, risparmiateci il bis!

Per adesso accontentiamoci! Ma… stabilito un principio generale e solo dopo esserci tolti il cappello davanti al diritto di ognuno di decidere della propria vita, va detto che qualche passaggio obbligato va messo; altrimenti è solo un’esacerbazione dei diritti della singola persona o un omicidio di Stato oppure un suicidio concesso da altri. Meglio finire qui, è quasi Natale: non potrebbe questo qui (io, Ugo!) parlare di cose più allegre? Ricordarci di Babbo Natale & company, albero compreso? Farci gli auguri? No lettori, meglio “obbligarci a pensarci” perché, io come voi, o siamo già tra i 900 mila o ci saremo a breve per via dell’età che avanza oppure ancora abbiamo parenti in quella fascia. Perciò, per ora basta… ma voi intanto: meditate, meditate!

precedente

successivo