Che la pratica sportiva sia un toccasana è sicuramente vero. Questo, però, non significa che chi fa sport per professione sia necessariamente l’emblema della salute. Tutt’altro. La paura di non essere all’altezza della competizione può portare a scegliere la scorciatoia chimica del doping. Le sostanze dopanti possono annullare la sensazione di fatica, accrescere la massa muscolare e la forza, e in generale, migliorare le prestazioni sportive. Tutto questo però ha un prezzo in termini di salute. Ad esempio, gli stimolanti possono portare ad uno scompenso cardiaco e l’uso di anabolizzanti alla lunga può portare a tumori al fegato, danni al sistema cardiocircolatorio, impotenza e sterilità. E poi, inesorabilmente, l’abuso porta all’assuefazione e alla dipendenza.
Insomma ne vale davvero la pena? Per qualcuno sì! Soprattutto agli alti livelli agonistici, la vittoria o una buona qualificazione, fa gola, oltre che all’atleta stesso, al suo allenatore e, soprattutto, allo sponsor.
Ma non solo. Infatti è difficile pensare che gli atleti si dopino facendo tutto da soli. Devono essere per forza seguiti da un medico o da una figura simile che calibri al meglio il dosaggio (per diminuire gli effetti collaterali e per scampare ai controlli anti-doping). Proprio di recente,in una maxi-inchiesta romana sul doping, sono stati indagati nove infermieri e 7 medici. Forse la differenza tra il comune drogato e il dopato sta proprio nel fatto che quest’ultimo è sotto controllo medico. Da qui si capisce anche che lo sviluppo del doping corrisponde a quello della farmacologia. Infatti, l’uso di sostanze dopanti, in forma meno sofisticata, esiste da sempre. Sin dai tempi dell’ antica Grecia, durante lo svolgimento dei Giochi Olimpici, era assai comune assumere infusi di erbe e funghi per migliorare la propria performance. Più recentemente, nel XIX secolo, in Francia era molto diffusa una mistura di vino e foglie di coca nota come il “vin maraini” capace di ridurre le sensazioni di fatica e di fame durante attività intense e protratte nel tempo. Agli inizi del Novecento i maratoneti assumevano alcool durante la gara e gli atleti americani utilizzavano uno stimolante di diffusione popolare: la stricnina. Il termine doping si diffuse intorno ai primi del ‘900 per indicare la stimolazione illecita degli animali in competizione nei cinodromi e negli ippodromi ed in seguito venne esteso anche all’uomo. Il sospetto dell’uso di queste sostanze nello sport prese piede nei Giochi Olimpici invernali del 1952 e si intensificò nel 1954 quando si diffusero sul mercato gli steroidi anabolizzanti. Il loro evidente utilizzo nelle Olimpiadi del 1964 condusse all’introduzione del “Controllo doping” nei successivi Giochi del 1968.
Ma, oggi come oggi, il doping è vietato? La legge italiana, a riguardo, non prevede un regolamento preciso. In pratica, chi fa uso di questi preparati non commette reato, quindi non incorre in sanzioni né civili né penali ma soltanto in squalifiche da parte dei comitati addetti. I controlli anti-doping vengono effettuati all’inizio delle gare, tramite il prelievo di 2 campioni di urine. Non sempre però le sostanze dopanti vengono riconosciute. Infatti, essendo talmente simili a quelle prodotte dall’organismo (ad esempio gli ormoni), i test non riescono a “stanarle”. C’è da dire poi che non anti-doping sono adeguati ai trucchetti escogitati per sfuggire ai controlli. Tutti i sotterfugi possibili, però, non riescono a ingannare il vaglio di quella macchina perfetta che è il corpo umano. Se non lo si rispetta, lui si ammala.