Genitori ambiziosi

Data: 01/10/03

Rivista: ottobre 2003

Da un mesetto è ripresa la scuola coi suoi grembiulini, le lacrimucce dei più piccoli, i quaderni, i libri, gli astucci, le cartelle, i compiti… e l’ambizione di troppi genitori, spesso esagerata se non addirittura patologica, che nel successo del figlio vedono una rivincita ai propri insuccessi. La fissazione di avere un figlio per forza più intelligente degli altri, “che ha saltato la prima” perché altrimenti sarebbe stato per lui un anno sprecato, di essere il padre o la madre di un piccolo genio rappresenta spesso nei fatti una minaccia per la formazione intellettuale e mentale del bambino.

Esemplare a proposito, questa vicenda. Siamo nella primavera dell’anno scorso: Justin, ragazzino americano di otto anni, viene tolto alla madre e affidato dal tribunale ad un ospedale psichiatrico per minori. Lì piange, urla, tira calci al muro, chiede di poter giocare con Jedi, il suo gattino e di dormire con la coperta blu di Harry Potter. Tenta perfino di uccidersi ingoiando una manciata di analgesici.

Cos’è successo al piccolo? La madre, una donna nubile in cerca riscatto alle sue ambizioni personali fallite, districandosi tra le approssimazioni del sistema educativo americano ossessionato dai bilanci, dai risultati e dal numero e qualità dei ragazzi frequentanti, riesce a far credere di avere figlio genio. Probabilmente il bambino è più precoce dei suoi coetanei, è sveglio e forse anche più intelligente sicché per lei il gioco è facile. Contatta così alcuni istituti specializzati nell’istruzione di bambini prodigio per informarli che il piccolo, a soli tre anni, aveva ottenuto il massimo dei risultati in vari test ufficiali d’intelligenza per adulti e ne chiede l’ammissione ai corsi. Così, sempre via Internet, Justin a cinque finisce le medie, a sei si diploma al liceo Cambridge Accademy e a sette si iscrive all’Università di Rochester, nello Stato di New York.

La madre apre per lui anche un sito Internet titolato: “Benvenuti nella casa del bambino più intelligente del mondo”. La fama del bambino superdotato dilaga, riceve fondi da istituti e centri che promuovono l’educazione dei “baby geni”, politicanti di ogni colore si fanno vedere e fotografare con lui, congressi e associazioni se lo contendono a suon di bei dollaroni: nel 2001 terrà ben 13 conferenze!

Ma qui la bella storia si arena… All’Università, nel confronto reale con studenti e professori veri, cominciano i guai. Dopo le prime lezioni, Justin vaneggia, non segue i corsi, si nasconde sotto i banchi, scoppia in pianti e urla, prende a calci i muri e i tavoli, rifiuta di mangiare, vomita in classe. Visitato da uno psichiatra, ne viene fuori una diagnosi terribile: Justin é un bambino sconvolto, in preda a incubi, terrorizzato, quasi psicotico. Se non verrà sottratto subito alla madre, diventerà clinicamente pazzo, ammesso che sia ancora recuperabile. Con una straordinaria inversione ad U, gli stessi esperti delle lodi di prima dichiarano: è un bimbo normalissimo, anzi, emotivamente e intellettualmente arretrato.

E allora, tutti quei test superati in piena souplesse, quei diplomi? Truffe, semplicemente truffe! La madre aveva sostenuto per lui gli esami, approfittando dell’anonimato di Internet e della credula disonestà delle scuole. Quando le prove erano diventate troppo difficili anche per lei, aveva scaricato via computer i test fatti dai più brillanti studenti del Paese, li aveva riprodotti con scanner, li aveva manipolati con programmi speciali, attribuendoli al suo Justin.

Naturalmente, ora la madre dice quello che dicono tutti noi genitori, che “l’aveva fatto per lui, per dargli il meglio”, che volevano “spianargli la strada verso una vita migliore”.

Ecco dunque come è possibile distruggere la vita di un ragazzino di otto anni mettendo assieme l’ambizione disperata di una madre, il sensazionalismo del giornalisti e le storture di un sistema scolastico affidato a Internet. Justin M. Chapman infatti non è per niente un genio: sarebbe stato un bambino come tantissimi altri in se non fosse stato travolto dall’ambizione della madre.

Che dire? auguriamo per prima cosa a Justin di uscire dall’incubo in cui è precipitato con l’aiuto di tante persone. Poi una domanda a chi ha la mente obnubilata dalle stesse ambizioni: a cosa servono figli geniali, capaci di sapere già a sei anni quello che potranno imparare con comodo a otto, nove o addirittura 15 e di risolvere a mente complicatissime equazioni differenziali se poi sono degli analfabeti della vita quotidiana, impacciati perfino di affrontare le più semplici situazioni della quotidianità? Einstein ancora a tre anni non parlava, a scuola fu uno scolaro timido e non certo brillante, introverso e solitario eppure, a tempo debito, teorizzò la relatività.

Lasciamo crescere i ragazzi con la loro spontaneità, assecondando il loro modo di essere, non pretendiamo che siano quello che noi ci aspettiamo da loro. Accompagnandoli nello sviluppo: ieri si trattava di dar loro la mano, oggi di ascoltarli, consigliarli, spiegare le cose lasciando a loro trarre le conclusioni. Non confondete precocità con intelligenza:

Sapete come recita il proverbio? Col tempo e con la paglia maturano le nespole. Date tempo ai bambini di fare altrettanto.

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