Giornata trentina delle malattie rare, il racconto di Luisa Anesi, referente AIMPS Onlus

Autori:10

Data: 01/10/15

Rivista: ottobre 2015

Sono qui a rappresentare l’Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi e Malattie Affini. La Mucopolisaccaridosi è una malattia rara del metabolismo cellulare dovuta a una carenza di enzima che comporta un accumulo di scorie nelle cellule che così muoiono e quindi un accumulo di scorie negli organi che un po’ alla volta si danneggiano.

È una malattia grave e progressiva, ne esistono diversi tipi a seconda della carenza del tipo di enzima coinvolto nel metabolismo e della quantità prodotta. Così abbiamo forme più lievi e forme severe che portano alla morte prima dei vent’anni.

Io sono anche una mamma, mamma di un bambino, Alexander di 12 anni, colpito da una forma severa di Mucopolisaccaridosi, unico caso di questo tipo in Trentino. Nella nostra realtà possiamo dirci più unici che rari e quindi più che mai soli. Per questo sin dal momento della diagnosi della malattia, quando Alexander aveva 4 anni, i contatti che abbiamo avuto con l’associazione nazionale sono stati di importanza fondamentale: ha voluto dire conoscere altri malati, altri genitori e degli specialisti che studiavano la malattia.

 Per quest’intervento ho pensato di mettere in rilievo il difficile vissuto quotidiano che una grave malattia può comportare.

 Fino all’età di circa 4 anni Alexander cresceva bene a parte il presentarsi di continui episodi infiammatori e la strana tendenza a dimenticare le parole che man mano imparava. Al primo anno di scuola materna era stato definito come un bambino intelligente che faceva i giochi dei grandi. Otto anni fa con la diagnosi di una malattia sconosciuta e fatale è cambiata radicalmente la nostra vita.

È quindi iniziato per noi genitori un percorso di assistenza scandito da visite mediche, esami di laboratorio, terapie riabilitative, ospedalizzazioni per interventi chirurgici e monitoraggi e inoltre telefonate e frequentazioni assidue di uffici amministrativi. Da otto anni Alexander viene ricoverato in day hospital per un giorno alla settimana dove per via endovenosa gli è somministrato un farmaco che è in grado di lenire per il momento alcune sofferenze e di rallentare per alcuni aspetti il decorso della malattia (ad esclusione per esempio del sistema nervoso e dell’apparato scheletrico che subisce tutti i danni).

Tutta questa medicalizzazione ha provato molto nostro figlio. Purtroppo nonostante le cure la sua vita dopo i 4 anni di età ha iniziato a procedere a ritroso. Per noi si è trattato prendere atto di quello che via via nostro figlio non era più capace di fare, di quello che non era più capace di dire, di quello che per lui non sarebbe ritornato mai più.

Il manifestarsi di malattie così gravi in un bambino cambia radicalmente la vita del bambino stesso e dei genitori. Da 8 anni la nostra vita è regolata sulle attività che cerchiamo di mettere in atto nella speranza che qualcosa faccia bene ad Alexander, gli regali un sorriso in più, gli rallenti anche solo di qualche giorno la perdita di qualche abilità cognitiva Otto anni fa siamo entrati in un tunnel in fondo al quale ci sarà solo la morte di nostro figlio. Il nostro destino è accompagnare un bambino ad una morte che si affaccia lentamente portandosi via di tanto in tanto un pezzetto di vita.

Finora nostro figlio ha mantenuto la capacità di deambulare ma ha accumulato un grave deficit cognitivo, è diventato sordomuto, ha un notevole impaccio motorio, è incontinente, è iperattivo. Alexander cerca il contatto con altri bambini e adulti essendo un bambino che si rapporta positivamente a tutto. Purtroppo è molto limitato nelle cose che sa fare. Ha bisogno di assistenza continua: questo vuol dire non perderlo mai di vista per il pericolo che si faccia male o che arrechi dei danni, stargli sempre a fianco per cercare di indovinare quali siano i suoi bisogni e sostenerlo nelle sue richieste. Ogni situazione quotidiana, anche la più semplice, come il cambiarlo, il lavarlo, il vestirlo o il fargli capire che non può mettere tutto in bocca, diventa un problema quando non si ottiene la sua collaborazione. Gestire tutto ciò tutti i giorni è molto impegnativo, stressante, esauriente.

In conseguenza di ciò la nostra vita sociale si è ormai ridotta al minimo. Le normali attività di tempo libero di una famiglia sono tutte diventate difficili o impossibili e molti amici sono spariti. Cerchiamo comunque di creare per nostro figlio oltre che un’esistenza il più dignitosa possibile,le più diverse occasioni che siano fonte di gioia come tutti i genitori fanno per i propri figli. Nel frattempo stiamo però vivendo dentro di noi un percorso di sofferenza e di lutto e a volte è difficile conciliare le due cose.

Cerchiamo di trarre da noi più forza possibile per dare a nostro figlio tutto quello che possiamo, per tutelarci come famiglia e anche per combattere con le più diverse problematiche di tipo sociale. Ma a volte ci ritroviamo distrutti, stanchi e invecchiati oltre che soli e soprattutto assaliti da un dubbio: ce la faremo ad arrivare fino in fondo o saremo sopraffatti man mano che la malattia si aggraverà e i sintomi saranno ancora più pesanti?

Grazie per l’attenzione.

 

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